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Commento a Cass. S.U. 26972/08
Materia: Risarcimento danni - Fonte: Renato Savoia - 14.11.2008 Condividi su Facebook |
La Cassazione a Sezioni Unite si sforza di fare il punto di sintesi in tema di danno non patrimoniale, con un excursus storico che prende le basi dalle famose sentenze della Corte Costituzionale 184/86 e 372/94 e le altrettanto note sentenze gemelle 8827 e 8828 del 2003 della stessa Corte di Cassazione. Come premessa, viene riaffermata la bipolarita' del sistema risarcitorio nelle due poste di danno: di danno patrimoniale (art. 2043 c.c.) e danno non patrimoniale (art.2059 c.c.) Il primo viene definito danno atipico (viene non a caso ricordata la sentenza 500/99 con cui e' stato riconosciuto meritevole di tutela qualsiasi interesse giuridicamente rilevante), e si ricorda che tre sono gli elementi che devono essere presenti per il riconoscimento di tale danno ; a) la condotta; b) il nesso causale tra la condotta e l'evento; c) il danno. Il danno non patrimoniale ex 2059 c.c. e' invece un danno caratterizzato da tipicita', nel senso che tre sono i casi in cui e' riconosciuto dall'ordinamento; a) in caso di fatto-reato, ex art. 185 c.p.; b) in caso di riconoscimento espresso da parte del legislatore di un danno non patrimoniale (ad esempio la legge sulla privacy); c) nel caso di lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione. Dunque, c'e' una selezione (in questo senso si parla di tipicita'), che nei primi due casi viene fatta dal legislatore, mentre nell'ultimo deve essere fatta dal giudice. E' su quest'ultima ipotesi che si concentra, evidentemente, l'attenzione. La scelta della Corte, riaffermata piu' volte seppur, dobbiamo dirlo, in maniera non troppo sistematica, e' che cio' che deve essere accertato e' la lesione di un diritto inviolabile della persona, vale a dire una ingiustizia costituzionalmente qualificata. Peraltro un altro paletto viene posto: e cioe' che tale lesione deve essere “seria”, oltre una certa soglia minima. Risulta abbastanza evidente che in realta', nel tentativo di creare chiarezza, viene lasciato libero arbitrio al singolo giudicante di valutare la serieta' dell'offesa nel caso in questione. Sempre in modo abbastanza frammentario, il che suona strano data la corposita' di ciascuna decisione, viene ridisegnato il danno non patrimoniale, che e' figura d'ora in poi da valutarsi in maniera onnicomprensiva, e non suddivisibile in sottocategorie. Ecco, conseguentemente, che le figure classiche del danno biologico, del danno morale, del danno da perdita del rapporto parentale (tanto per citarne alcune), vengono “degradate” a mere figure utili a fini descrittivi. Cosi', secondo la Cassazione, parlando di “danno biologico” in realta' si utilizzerebbe un “nome” utile solo a fini descrittivi, quando invece occorrerebbe piu' propriamente parlare di lesione del diritto alla salute, tutelato dall'art.32 della Costituzione. Lo stesso vale negli altri casi, ad esempio il danno da pardita del rapporto parentale sopracitaro, che devono essere considerati, ciascuno, specifici casi determinati dalla legge al suo massimo livello, e cioe' dalla Costituzione, di riparazione del danno non patrimoniale. * * * L'attenzione si sofferma quindi sulla figura conosciuta come “danno morale”. Premesso che ne' l'art. 2059 c.c. ne' tantomeno l'art. 185 c.p. ne parlano, in realta', ci viene detto, e' solo uno dei possibili pregiudizi non patrimoniali ed e' costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato. A questo punto va abbandonata la tradizionale definizione di danno morale soggettivo transeunte. L'intensita' e la durata della sofferenza non rilevano per l'esistenza, ma solo ai fini della quantificazione del danno. Nella parte portante delle sentenze, con estrema forza viene affermato il principio che l'art. 2059 c.c. e' un mezzo per colmare le lacune della tutela risarcitoria della persona, formulata come norma di chiusura in moda da permettere il risarcimento anche di diritti che dovessero essere tutelati dalla Costituzione in futuro. * * * Tra le sottocategorie di danno non patrimoniale che cadono sotto la scure dellle Sezioni Unite c'e' certamente il c.d. danno esistenziale. Nella foga demolitrice della figura, la Corte ne ha per tutti; – per la giurisprudenza di merito, rea di non aver svolto indagini sul requisito dell'ingiustizia del danno; – per la stessa Corte, di Cassazione rea in precedenti sentenze di aver utilizzato l'espressione “danno esistenziale” quando in realta' si trattava di lesioni di diritti costituzionalmente qualificati. In ogni caso, quando la Corte ha utilizzato l'espressione “danno esistenziale” lo avrebbe fatto con valenza prettamente nominalistica; – per (e soprattutto) i giudici di pace, rei di aver riconosciuto come meritevoli di tutela diritti definiti testualmente “immaginari”. Viene ricordato, anche, e possiamo dire soprattutto in un'ottica “pro futuro”, che non sono meritevoli di tutela risarcitoria disagi, fastidi, ansie e comunque altri tipi di insoddisfazione legati a qualsivoglia aspetto della vita quotidiana. In particolar modo e con palpabile senso di frustrazione che porta la Cassazione ad una elencazione, peraltro meramente esemplificativa, in negativo, si afferma il concetto che il pregiudizio di tipo esistenziale non deve essere di natura futile, e, se oggettivamente grave, occorre verificare che l'offesa arrecata non sia priva di gravita'. Peraltro, nello stesso momento in cui la Cassazione dice che non si puo' piu' parlare di “danno esistenziale” come autonoma categoria di danno, viene affermato un principio che nei primi commenti appare del tutto sottovalutato e cioe' che in presenza di reato anche il pregiudizio non patrimoniale consistente nel non poter fare sia comunque risarcibile. La tutela risarcitoria sara' riconosciuta a condizione che il pregiudizio sia conseguenza della lesione di un interesse giuridicamente protetto e a condizione che sussista il requisito dell'ingiustizia ex art. 2043 c.c.. Non solo: pregiudizi di tipo esistenziale, in assenza di reato e al di fuori dei casi determinati dalla legge, saranno comunque risarcibili purche' conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile della persona, che potrebbe anche essere diverso dal diritto all'integrita' psico-fisica (e si fa l'esempio dell'illecito che cagioni a persona sposata l'impossibilita' di avere rapporti sessuali con il coniuge). * * * Viene anche pienamente riconosciuta la risarcibilita' del danno non patrimoniale quale conseguenza dell'inadempimento di obbligazioni. Infatti, il danno non patrimoniale, si dice, va risarcito quale che sia la fonte della responsabilita', senza necessita' alcuna di utilizzare il c.d. cumulo di azioni. Ci si sofferma, poi, su alcune ipotesi particolari. In primis, i c.d. contratti di protezione (tra cui rientrano la responsabilita' del medico ospedaliero e della struttura sanitaria, e la responsabilita' dell'istituto scolastico nei confronti dell'allievo) , nei quali casi deve essere tutelata l'eventuale lesione di interessi non patrimoniali. Nel caso del rapporto di lavoro, la scelta operata al momento della formulazione dell'art.2087 c.c., che ha gia' previsto la tutela dell'integrita' fisica e della personalita' morale, fa si' che ove vi sia un inadempimento che provochi la lesione di tali diritti, deve necessariamente conseguire un risarcimento di natura non patrimoniale. Quello che piu' ha interessato i primi commenti, pero', e' l'ambito del danno alla persona. L'esordio e' stentoreo, pur nella sua banalita': “il risarcimento del danno alla persona deve essere integrale, nel senso che deve ristorare integralmente il pregiudizio, ma non oltre”. Si ribadisce che il riferimento a vari tipi di pregiudizio (danno biologico, danno morale...) deve configurarsi quale mero richiamo a figure di natura descrittiva. In particolare, in caso di illecito che configuri reato, il danno morale (che come si e' detto non va piu' riferito al c.d. danno morale soggettivo, la sofferenza transunte) “diventa” danno non patrimoniale. Ove pero' ci si trovi di fronte a degenerazioni patologiche della sofferenza (pensiamo all'ipotesi di una provata depressione), ecco che tale sofferenza fuoriesce dall'ambito dell'ex danno morale, per rientrare nella componente di danno, sempre non patrimoniale, biologico. Non sembrano corrette, a parere dello scrivente, le prime letture che si sono “stracciate le vesti” ipotizzando una scomparsa del danno c.d. morale. La Cassazione, infatti, dice un'altra cosa. Dice cioe' che nel caso di degenerazioni patologiche della sofferenza e' sbagliato concedere in automatico due voci di danno, di cui una (danno morale) sotto forma di percentuale dell'altra (danno biologico), dovendo invece applicarsi una personalizzazione al momento della liquidazione del danno biologico. Il che' non fa una piega, nel momento in cui si dice che il danno biologico e il danno morale non sono due danni diversi ma due definizioni, che attengono profili diversi, della stessa voce di danno, che a questo punto e' il danno non patrimoniale (potremmo definirlo il “dannone” non patrimoniale). Lo stesso discorso vale per il caso di danno da perdita del rapporto parentale e di danno morale. Cosi' come non vi puo' essere duplicazione tra il danno biologico e il danno da compromissione della sessualita', il secondo essendo non un danno esistenziale autonomo ma un aspetto del “dannone” (per riutilizzare l'espressione di cui sopra) non patrimoniale. Cosi' come il danno c.d. estetico non puo' a questo punto che essere una componente del danno (non patrimoniale) alla persona. C'e' da dire che utilizzando nelle commentate sentenze a volte l'espressione danno biologico quale sinonimo di danno non patrimoniale e altre volte la stessa espressione come uno degli aspetti del danno non patrimoniale stesso, la Cassazione non aiuta certo a farsi comprendere meglio. Importante e' d'altra parte il pieno riconoscimento, quale danno non patrimoniale (e specificatamente come danno morale nella nuova accezione di danno non necessariamente transeunte) del danno subito quale sofferenza psichica dalla vittima di lesioni fisiche , alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte, e che sia rimasta lucida durante l'agonia in consapevole attesa della morte. Viene altresi' respinta l'ipotesi che si possa parlare di “danno in re ipsa” per l'ipotesi di lesione di valori della persona. Il danno non patrimoniale necessita di essere provato, e prima ancora allegato. Importante e' invece che la sentenza fa alla possibilita' per il giudice di avvalersi non solo della perizia medico-legale quale accertamento, ma altresi' delle nozioni di comune esperienza e delle presunzioni. In particolare la prova presuntiva, seconda la Cassazione, potra' costituire addirittura l'unica fonte per la formazione del convincimento del giudice. * * * Dunque, quattro sentenze decisamente importanti, potremmo dire “pesanti”, volte evidentemente a calmierare taluni eccessi francamente ridicoli (si vedano gli esempi riportati dalle sentenze stesse), ma che non sembrano volte a voler limitare il danno dei veri soggetti lesi. Come sempre, stara' poi all'applicazione pratica che delle sentenze se ne fara' quotidianamente, la verifica della reale portata. Renato Savoia