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Due sentenze di merito (opposte) sul danno morale

Materia: Risarcimento danni - Fonte: Renato Savoia - 11.03.2009
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Abstract: Due giudici interpretano le Sezioni Unite in modo diametralmente opposto. Quando si dice la certezza del diritto...




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Non passa giorno senza una nuova sentenza che va ad alimentare il dibattito sulla risarcibilità del danno morale dopo l'intervento della Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza 26972/08.
Inutile ripetere quanto già scritto(anche dal sottoscritto, e rinvenibile all'interno del sito), solo tre domande, per i "riduzionisti":
1) come conciliare l'intervento delle Sezioni Unite con le sentenze successive della Cassazione, a Sezione Semplice, che pur facendo riferimento alla sentenza 26972/08 hanno riconosciuto il danno morale?
2) la Cassazione ha anche detto espressamente che "i lrisarcimento del danno alla persona deve essere integrale": perchè interpretare "integrale" solo nel senso di "minore"?
3) Perchè nella Relazione dell'Amministrazione della Giustizia nell'anno 2008 (http://www.cortedicassazione.it/Documenti/Relazione%20anno%20giudiziario%202008.pdf) non si parla della asserita "soppressione" del danno morale ma solo del fatto che "la sofferenza morale non è che uno dei molteplici aspetti di cui il Giudice deve tenere conto nella liquidazione dell'unico ed unitario danno non patrimoniale"?
 
Gentilmente inviata dall'avv. Noemi Demuro di Sassari, la sentenza del tribunale di Sassari 29/01/09 (grassetto mio):

REPUBBLICA ITALANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI SASSARI

In composizione monocratica, nella persona del Giudice, dott. Paolo Bruno, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa Iscritta al n. 1627 dei Ruolo Generale Affari Contenziosi Civili per l’anno 2005 promossa da

***** elettivamente domiciliato in ***** presso lo studio dell’Avv, ***** che lo rappresenta e difende in virtù di delega in calce all’atto di citazione       ATTORE

CONTRO

***** elettivamente domiciÌiato in ***** presso lo studio delI’***** che lo rappresenta e difende per delega in calce alla copia notificata dell’atto di citazione CONVENUTO

E CONTRO

******* In persona dei legale rappresentante, con sede in *****ed elettivamente domicillata in ***** presso lo studio dell’Avv. ***** che la rappresenta e difende per delega in calce alla copia notificata dell’atto di citazione                   CONVENUTA

E CONTRO

***** residente in *****                                         CONVENUTA-CONTUMACE

All’udienza del 26.06.2005 la causa è stata tenuta in decisione sulle seguenti

CONCLUSIONI

Nell’interesse dell’attore: 1) ogni contraria istanza, eccezione e conclusione respinta; 2) dichiarare che il sinistro si è verificato per fatto e colpa esclusiva del sig. ***** e per l’effetto condannare i convenuti ***** in persona del legale rappresentante, ***** e ******* ciascuno per il loro titolo come per legge al risarcimento dl tutti i danni a persone ed a cose che si quantificano nella somma di £ 212.016,32 o in quella veriore che sarà ritenuta d giustizia oltre gli interessi legali dalla data del sinistro al saldo e al danno per svalutazione monetaria; 3) con vittoria di spese, diritti ed onorari.

Nell’interesse di*****: a) contrariis reiectis; b) In via riconvenzionale, dichiararsi parte attrice unica responsabile del sinistro de quo e conseguentemente assolversi il ***** da ogni avversa domanda. Conseguentemente condannarsi l’attore oltreché al risarcimento dei danni da lite temeraria che il Giudice adito vorrà liquidare secondo equità anche al ristoro di tutte le spese ed i danni sostenuti dal ***** non solo in conseguenza del presente giudizio ma anche a quelli conseguenti al procedimento penale a lui conseguito e di cui in espositiva nella misura che risulterà provata “causa cognita” o in subordine secondo equità; c) con vittoria di spese, diritti ed onorari e spese generali.

Nell’interesse di *****: 1) reietta ogni contraria istanza, eccezione e deduzione; 2) assolversi la ***** da ogni avversa domanda 3) con vittoria di spese, diritti ed onorari,

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione dei 23.03.2005 ***** — premesso che in data 26.03.2003, mentre si trovava alla guida della propria autovettura BMW 320 lungo la SS. 597 Sassarl-Olbia ed aveva impegnato la corsia dl sorpasso, si era visto tagliare la strada dal veicolo Elat Doblò condotto da ***** ma di proprietà di ***** — ha evocato in giudizio il *****, la ***** e la ***** chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non subiti a seguito della sua uscita di strada per colpa della manovra imprudente del *****. Contumace la *****, si sono costituiti sia il ***** che la ***** spiegando difese, sostanzialmente dei medesimo tenore, volte ad attribuire la responsabilità dell’occorso all’alta velocità tenuta dall’attore che aveva tentato dl sorpassare una lunga fila di autoveicoli in colonna in un punto in cui vi era la striscia continua dl mezzeria.

La causa, istruita con interrogatorio formale, prova per testi, deposito di documenti e CTU medica, è stata trattenuta in decisione sulle conclusioni sopra trascritte.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La domanda è fondata nei limiti di cui oltre.

1. La dinamica, ricostruita in giudizio con prove orali e con la produzione del verbale dei rilievi eseguiti dal Carabinieri di Ozieri, è chiara: l’attore ha impegnato la corsia di sorpasso in un punto in cui detta manovra era vietata giacchè vi era la striscia di mezzeria continua (circostanza confessata dal medesimo in udienza) e giunto all’altezza dell’auto condotta dal ***** — verosimilmente disturbato dalla manovra del convenuto che si era “allargato” verso il centro della strada per vedere se era possibile anche a lui sorpassare il Tir che lo precedeva — ha perso il controllo del proprio mezzo finendo all’estremità sinistra della strada e ribaltandosi più volte.

Ne consegue che, per quanto non sia stato chiarito se il *****a abbia invaso totalmente o solo parzialmente la corsia opposta mentre da tergo sopraggiungeva il *****, è pur certo che il convenuto ha manovrato senza accertarsi che la corsia fosse libera e difatti non si è avveduto dell’arrivo dell’attore, ponendolo nelle condizioni di uscire fuori strada per non subire uno scontro dagli esiti prevedibilmente più gravi.

1.1. Tuttavia ritIene chi scrive che l’attore non abbia assolto all’onere di provare che la colpa dell’occorso è totalmente del convenuto: non va infatti dimenticato che il ***** ha certamente commesso un’infrazione al Codice della strada avendo sorpassato in un punto in cui era vietato, e che la stessa dinamica dell’incidente testimonia (pur in assenza di contestazione da parte dei Carabinieri) dell’alta velocità da lui tenuta nell’occasione.

Pur non considerando le informazioni rese ai verbalizzanti dalla ***** (in quanto parte +n causa) sta di fatto che la teste *****, terza imparziale della cui attendibilità allo stato non può dubitarsi, ha sostanzialmente confermato in udienza le dichiarazioni allegate al verbale dei rilievi, ove aveva riferito che l’attore conduceva il veicolo a forte velocità.

Deve pertanto ritenersi che, non superata da alcuna delle parti la presunzione di pari responsabilità di cui all’art.2054 c.c., il sinistro che ci occupa sia addebitabile a colpa di entrambi i conducenti in eguale misura.

2. Quanto al danno alla persona, pacifica la riconducibilità delle lesioni subite dal ***** al sinistro di cui si discute, deve procedersi a liquidazione secondo le Tabelle in uso a questo Tribunale — che da anni recepisce quelle del Tribunale di Milano — e riconoscersi all’attore le seguenti voci di danno, già rivalutate alla data odierna: danno biologico, comprensivo del cd. danno morale, non più liquidabile autonomamente secondo le indicazioni di Cass. SS.UU. n.26972/2008 € 20.000,00 (di cui € 17.961,00 per una percentuale dl invalidità del 11% su un soggetto di anni 42 al momento del sinistro ed il resto quale maggiorazione per danno morale); I.T.T. € 1.382,80 (pari ad € 69,14 x gg.20); I.T.P. € 1.037,10 (pari ad € 34,57 per gg.30); spese mediche documentata € 0,00; il tutto ridotto del 50% in ragione della concorrente responsabilità dell’attore e dunque complessivamente € 11.209,95.

A tale somma devalutata alla data del sinistro e via via rivalutata in base agli indici ISTAT, andranno aggiunti gli interessi legali con esclusione del cumulo e sino al saldo.

Non è stata riscontrata dal CTU, la cui relazione non è stata contestata dall’attore, alcuna incidenza delle lesioni subite sulla capacità lavorativa, per cui la relativa voce di danno richiesta non può essere riconosciuta.

Parimenti inaccoglibile è la domanda dl risarcimento del danno patrimonlaie relativo alla perdita del mezzo, non avendo il ***** prodotto alcuna documentazione idonea a ricostruire il valore dell’auto al momento dell’incidente, non avendo articolato mezzi istruttori al riguardo e non essendo tale dato altrimenti evincibile.

3. Stessa sorte incontra la domanda riconvenzionale di condanna al risarcimento dei danni da lite temeraria, non sussistendo minimamente i presupposti per configurare una responsabilità ex art.96 c.p.c., ed essendo palesemente infondata una domanda dì risarcimento del danno da (asserito) illegittimo promovimento dell’azione penale davanti al Giudice di pace, in ragione del pacifico e pluriennale orientamento della Suprema Corte che lo nega in radice sostenendo che la proposizione di una querela (ma anche la denuncia di un reato perseguibile d’ufficio) non è fonte di responsabilità per danni a carico del querelante, al sensi deIl’art.2043 c.c, anche in caso di

proscioglimento o assoluzione del querelato, se non quando la stessa sia deliberatamente presentata a fini strumentali: in una parola, quando la denuncia sia calunniosa (tra le tante, Cass. n.15646/2003; 750/2002; 3536/2000; 262/1991).

4. In conclusione, ritenuto che il sinistro per cui è causa sia addebitabile ad entrambi i conducenti a causa dalle rispettive condotte imprudenti (l’attore per aver superato a forte velocità in un tratto di strada ove ciò era vietato ed il convenuto per aver impegnato, sia pure parzialmente, la corsia di sorpasso senza assicurarsi che alcun veicolo sopraggiungesse dietro di lui) la domanda attrice va accolta per quanto di ragione ed i convenuti condannati ai risarcimento del danno pari ad € 11.209,95 oltre interessi legali e rivalutazione monetaria.

Le spese di lite, stanti le ragioni della decisione, possono rimanere interamente compensate.

PER QUESTI MOTIVI

Il. TRIBUNALE

disattesa ogni altra istanza, eccezione e conclusione;

1) dichiara che il sinistro per cui è causa si è verificato per responsabilità concorrente di ***** e ***** è per l’effetto condanna *****, ***** e la *****. in persona del legale rappresentante a risarcire all’attore la complessiva somma di € 11.209,95 oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali come in parte motiva;

2) compensa interamente tra le parti le spese di lite.

Così deciso in Sassari, il 29.01.2009

Il Giudice

Dott. Paolo Bruno

 

 

La sentenza del Tribunale di Torino, da www.lexform.it (grassetto sempre mio):

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI TORINO

SEZIONE 4^ CIVILE

Il dott. MARCO CICCARELLI, in funzione di Giudice unico,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso ex art. 3 l. 102/2006 depositato il 6.7.07 ***** conveniva in giudizio ***** e ***** nella rispettiva qualità di proprietario e compagnia assicuratrice per la RCA del veicolo *****, targato *****, ed esponeva che il giorno 1.9.02, mentre attraversava sulle strisce pedonali la via Pietro Cossa in Torino, era stato investito dall’auto del sig. *****, da lui stesso condotta, e aveva riportato gravi lesioni, di interesse ortopedico, odontoiatrico e psichiatrico, che avevano compromesso la propria validità fisica in misura superiore al 40%. Chiedeva pertanto la condanna dei convenuti al ristoro dei danni patrimoniali e non patrimoniali, in questi ultimi compresi il pregiudizio biologico, morale ed esistenziale.

Ritualmente costituiti ***** e ***** riconoscevano le modalità del sinistro descritte dall’attore e contestavano le pretese avversarie unicamente in punto quantum debeatur. A questo proposito eccepivano la nullità della domanda per indeterminatezza degli elementi di fatto e di diritto posti a fondamento delle richieste del danno esistenziale, di quello da interruzione del rapporto di lavoro e di quello da perdita dell’integrità estetica. Richiamavano comunque l’onere avversario di fornire rigorosa prova dei danni lamentati.

All’esito del tentativo di conciliazione esperito nella prima udienza, ***** riconosceva al ***** ulteriore acconto di € 60.000, oltre a quelli già versati ante causa per complessivi € 10.600.

La causa veniva quindi istruita mediante prove testimoniali e CTU, affidata a un collegio di tre periti.

All’udienza del 25.11.08 l’assicuratore consegnava all’attore assegno di € 42.000, ed evidenziava come la somma complessivamente pagata dovesse considerarsi congrua rispetto alle lesioni subite dal *****, come accertate dai CTU.

Dopo la discussione della causa e la precisazione delle conclusioni, il giudice, all’udienza del 27.11.08, decideva come da dispositivo di cui veniva data lettura.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Le modalità del sinistro non sono state contestate dai convenuti.

L’obbligo di integrale risarcimento dei danni subiti dal ***** deriva quindi non soltanto dal mancato superamento (anche parziale) della presunzione di responsabilità di cui all’art. 2054 1° comma c.c.; ma anche dall’accertamento (non contestazione) di una concreta colpa in capo al ***** consistente nel non aver dato la precedenza a un pedone in fase di attraversamento sulle strisce pedonali. In questo senso anche la relazione di servizio della Polizia Municipale, da cui risulta

che il ***** è stato contravvenuto per violazione dell’art. 191 C.d.S.

2. L’eccezione di nullità del ricorso per indeterminatezza della domanda di risarcimento del danno esistenziale deve essere respinta. L’attore infatti ha indicato in termini sufficientemente dettagliati la tipologia e la consistenza dei danni che ritiene di aver subito. Con riferimento al c.d. danno esistenziale ha sostenuto ch’esso consisterebbe nella impossibilità o difficoltà “di continuare a svolgere le solite attività quotidiane cui era dedito (es. il piacere di praticare un’attività sportiva: ed il sig. ***** era un promettente atleta di karate, …), nonché di reintegrarsi nei rapporti sociali e di mantenerli ad un livello normale”.

Ulteriore profilo del dedotto danno (c.d. esistenziale) viene indicato nella interruzione del rapporto di lavoro in essere al momento del sinistro e nelle difficoltà a reperire nuova occupazione, anche a causa della perduta integrità estetica. L’attore ricorda poi – sempre trattando questa voce di danno – le “forti difficoltà e gravi problemi a viaggiare in automobile”, tali da non consentirgli di conseguire la patente di guida. Occorrerà certamente verificare se e in quale misura questi danni siano stati provati; ma il problema della prova del danno esistenziale (che i convenuti trattano nel capitolo intitolato alla nullità dell’avversaria domanda) è del tutto diverso da quello della determinatezza della domanda stessa. Il requisito previsto dall’art. 163 n. 3 c.p.c. (cui si fa esplicito o implicito riferimento quando si eccepisce la nullità della domanda introduttiva) è essenzialmente funzionale all’esplicazione del diritto di difesa, ed è soddisfatto quando dalla narrativa dell’atto di citazione (o del ricorso) si evinca con chiarezza il “bene della vita” che viene richiesto. Per potersi difendere da una pretesa di risarcimento del danno il convenuto ha necessità di sapere quali siano gli elementi costitutivi del pregiudizio e in che cosa esso consista; dovrà quindi poter conoscere, se si tratta di un danno biologico, quali lesioni l’attore sostiene di aver subito alla propria integrità fisio-psichica; se si tratta di un danno morale, che tipo di pregiudizio l’attore vanta e, soprattutto, se tale pregiudizio presenti componenti diverse e ulteriori rispetto allo stato di afflizione transeunte che normalmente consegue ad una lesione fisica (e che non ha quindi neppure bisogno di essere specificato). Conoscendo questi elementi il convenuto è posto in condizione di difendersi (potendo, p. es., contestare che quelle lesioni non si sono verificate o che non hanno prodotto conseguenze sul piano morale o esistenziale). Rispetto al diritto di difesa è invece irrilevante che l’attore specifichi la somma monetaria che domanda; e – a maggior ragione – che espliciti il procedimento mediante il quale è arrivato a indicare una certa somma. Deve dunque concludersi che la domanda di risarcimento proposta dal sig. ***** sia sufficientemente specifica, sotto tutti i profili di danno richiesti.

3. Prima di procedere alla concreta determinazione dei danni subiti dal sig. *****, è necessario svolgere alcune considerazioni sui criteri di liquidazione del danno non patrimoniale che verranno adottati. Infatti la recente pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite (11 novembre 2008 n. 26972) – cui le parti hanno fatto ampi riferimenti nel corso della discussione orale – impone una rivisitazione dei criteri di liquidazione del danno non patrimoniale abitualmente seguiti da questo giudice, in conformità agli orientamenti della sezione. Le “novità” non riguardano il danno biologico – con la precisazione che questo termine va inteso come sintesi descrittiva della lesione del diritto alla salute – relativamente al quale le Sezioni Unite hanno confermato l’inquadramento, ormai consolidato, nell’ambito della previsione dell’art. 2059 c.c., nonché la generalizzata tutela risarcitoria in virtù dell’esplicito riconoscimento normativo (a livello costituzionale e ordinario) del diritto alla salute. Le novità riguardano, invece, quegli altri pregiudizi non patrimoniali indicati – con analoghe sintesi descrittive – come danno morale, danno esistenziale, danno da perdita del rapporto parentale; pregiudizi il cui catalogo – come precisa la Corte – non costituisce numero chiuso. Quale premessa ai criteri liquidatori che verranno fra breve indicati, e con riferimento alle considerazioni svolte nella citata sentenza della Suprema Corte, vanno svolte le seguenti brevi osservazioni.

a) Il danno non patrimoniale, da intendersi nella sua più ampia accezione di danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica, è sempre risarcibile qualora l’illecito si configuri come reato (anche solo astrattamente). Al di fuori di questa ipotesi, il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale può derivare o da specifica previsione normativa, attraverso la quale possono essere ammessi al risarcimento anche interessi non aventi rango costituzionale di diritti inviolabili; ovvero dall’accertamento della lesione di un diritto inviolabile della persona, ossia di una ingiustizia “costituzionalmente qualificata”.

b) E’ stata da tempo superata l’affermazione secondo cui l’unico danno non patrimoniale risarcibile sarebbe quello “morale in senso stretto”, descritto tralaticiamente come lo stato di “patimento interiore” transeunte cagionato dall’illecito. Per un verso infatti, una tale sofferenza non è necessariamente transitoria, ma può protrarsi anche per lungo tempo, e merita ristoro nella sua interezza. Per altro verso, accanto ad essa può esistere una diversa sofferenza, derivante dalla necessità di adottare nella vita di tutti i giorni comportamenti diversi da quelli precedenti o dal “non poter più fare” quello che si faceva prima.

Ha quindi poco senso distinguere un danno morale tradizionalmente inteso da un anno esistenziale consistente in questa seconda tipologia di pregiudizi. La esasperata “etichettatura” delle varie figure di danno, se può avere una sua utilità dal mero punto di vista descrittivo, non appare funzionale (ed anzi talvolta è controproducente) rispetto all’obiettivo di risarcire il danno alla persona nella sua interezza evitando indebite duplicazioni.

c) La sentenza n. 26972/2008 non giustifica in alcun modo letture “abolizioniste” del danno morale, pure prospettate da alcuni primi commentatori. Il passaggio da cui traggono spunto queste letture è quello (contenuto nel paragrafo relativo al danno non patrimoniale da inadempimento di obbligazioni), ove la Corte afferma: “determina quindi duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale nei suindicati termini inteso, sovente liquidato in percentuale (da un terzo alla metà) del primo”. Ma questo passaggio va letto in stretta correlazione con quello precedente, ove si chiarisce cosa debba intendersi per danno morale: “deve tuttavia trattarsi di sofferenza soggettiva in sé considerata, non come componente di più complesso pregiudizio non patrimoniale. Ricorre il primo caso ove sia allegato il turbamento dell’animo, il dolore intimo sofferti … senza lamentare degenerazioni patologiche della sofferenza. Ove siano state dedotte siffatte conseguenze [cioè quando la sofferenza “diventa malattia”, n.d.a.], si rientra nell’area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente”. La Corte non fa che ribadire quanto affermato poco prima in termini generali: il risarcimento del danno alla persona deve essere integrale, nel senso che deve ristorare interamente il pregiudizio, ma non oltre. Dunque, il risarcimento del danno morale può costituire una duplicazione del già riconosciuto danno biologico; ma solo quando sia diretto a ristorare il medesimo tipo di pregiudizio (lesione del diritto alla salute). Al di fuori di questa ipotesi si rinvengono invece, nella predetta sentenza, chiari indici della risarcibilità del c.d. danno morale (o, più esattamente, del ristoro, nell’ambito della generale categoria del danno non patrimoniale, di quel tipo di pregiudizi sino ad oggi risarciti come danno morale): al paragrafo 2.10 si chiarisce che “la formula non individua una autonoma sottocategoria di danno, ma descrive, tra i vari possibili pregiudizi non patrimoniali, un tipo di pregiudizio, costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé considerata. Sofferenza la cui intensità e durata non assumono rilevanza ai fini della esistenza del danno, ma solo della quantificazione del risarcimento”. Al paragrafo 3 la Corte, nel negare cittadinanza a una autonoma categoria di danno c.d. esistenziale, riconosce espressamente che le ragioni storiche sottese alla elaborazione dottrinale di una siffatta categoria non hanno più ragion d’essere oggi, perché i pregiudizi ad essa tradizionalmente ricondotti (non poter fare, dover fare diversamente, etc.) sono risarcibili nell’ambito del danno non patrimoniale (sempre che sussistano i presupposti del reato, ovvero del pregiudizio a diritti inviolabili della persona), senza necessità di dover creare ulteriori categorie.

d) E’ vero, invece, che la sentenza delle Sezioni Unite impone oggi un diverso approccio alla liquidazione del danno non patrimoniale, che deve prendere in considerazione – si ripete, evitando duplicazioni di sorta – tutti gli aspetti della lesione. Qualora l’illecito costituisca reato, ogni pregiudizio non patrimoniale sarà risarcibile, purchè sussista il requisito dell’ingiustizia generica ex art. 2043 c.c.; dunque sia il patema d’animo transeunte, sia la sofferenza derivante dal “non poter più fare” dovranno essere presi in considerazione. In assenza di reato – e fuori dai casi determinati dalla legge – i pregiudizi “di tipo esistenziale” saranno risarcibili solo se conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile della persona.

e) La Corte ha ribadito, infine, l’orientamento già espresso in numerose precedenti sentenze in tema di prova del danno: il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza, che deve essere allegato e provato. Mentre per quanto riguarda il danno biologico il mezzo di prova cui si fa normalmente ricorso è l’accertamento medico legale (previsto dalla vigente normativa, ex art. 138 e 139 C.d.A.), pur se non come strumento esclusivo e necessario; per gli altri pregiudizi non patrimoniali potrà farsi ricorso alla prova documentale, testimoniale e presuntiva. Proprio quest’ultima – chiarisce la Corte – “è destinata ad assumere particolare rilievo, e potrà costituire anche l’unica fonte per la formazione del convincimento del giudice, non trattandosi di mezzo di prova di rango inferiore agli altri”; il danneggiato però avrà l’onere di “allegare tutti gli elementi che, nella concreta fattispecie, siano idonei a fornire la serie concatenata di fatti noti che consentano di risalire al fatto ignoto”.

*

Si passa ora alla indicazione dei criteri di liquidazione che – sulla base dei principi sopra enunciati e, ovviamente, in difetto di criteri di liquidazione previsti dalla legge – verranno adottati da questo giudice; ritenendosi che una tale indicazione risponda a principi di uniformità delle decisioni e, dunque, di equità sostanziale; pur nella doverosa considerazione delle specificità di ogni singolo caso, che però – ove possibile – dovrebbero essere ricondotte a variabili di un sistema di risarcimento tendenzialmente uniforme.

1. Danno biologico da invalidità permanente. I danni permanenti all’integrità psicofisica della persona, da valutarsi con accertamento medico-legale, si ritengono ristorabili in base agli ordinari criteri di liquidazione elaborati dalla giurisprudenza di questa Sezione (c.d. tabelle del Tribunale di Torino) e annualmente aggiornati; criteri che – lo si ricorda – attribuiscono a ciascun punto di invalidità un valore che varia in modo proporzionale all’entità della lesione e inversamente proporzionale all’età della vittima. Va però sottolineato che si considerano rientranti nel danno biologico anche i c.d. riflessi oggettivi della lesione, anch’essi apprezzabili (soprattutto, ma non solo) mediante accertamento medico-legale, e consistenti nella incidenza su sport e attività fisiche, nella maggior usura al lavoro, ecc. Tali riflessi vengono valutati mediante riduzione o incremento del valore del singolo punto (come sopra determinato) sino a un massimo del 50%. Rimane dunque sostanzialmente invariato il sistema di liquidazione fino ad oggi adottato.

2. Danno biologico da invalidità temporanea. Anche questo danno continuerà ad essere liquidato sulla base dei valori indicati nelle tabelle dell’ufficio, con riferimento a ciascun giorno di invalidità (valore pari, per l’anno 2008, a € 44,77).

3. Danno “da sofferenza”. Si tratta del pregiudizio (che per mera comodità espositiva si può continuare a chiamare “morale”) consistente nel patimento interiore (temporaneo o no) causato dall’illecito: sia per il turbamento e per i disagi che esso ha in concreto comportato, sia per le privazioni cui ha costretto la vittima. A soli fini orientativi, e fatte salve le peculiarità di ogni caso concreto, è possibile distinguere tre tipologie di fattispecie, corrispondenti ciascuna a un diverso modo di manifestazione di questo danno, cui devono corrispondere differenti criteri di liquidazione.

3.1 Rientrano in questo gruppo i casi in cui il patimento è normalmente momentaneo, strettamente legato a un certo evento di breve durata (p. es. un incidente stradale, lievi percosse, una rapina) e destinato ad attenuarsi e risolversi con rapidità: così la sofferenza e la preoccupazione di chi subisce

lievi lesioni, che guariscono senza lasciare postumi o con postumi minimi.

In questi casi la “sofferenza morale” è principalmente legata alla entità della lesione fisica e alla durata della malattia. Si giustifica quindi un criterio che ancori la liquidazione del danno in oggetto a quella del danno biologico, sia da invalidità permanente che da invalidità temporanea. Considerata però la temporaneità del “pregiudizio morale”, si ritiene che la liquidazione debba essere contenuta entro il limite massimo di un terzo (1/3) del danno biologico.

3.2 Rientrano in questo gruppo i casi in cui la sofferenza è conseguenza di una lesione fisica o psichica di una certa gravità; ed è normalmente destinata a durare a lungo, spesso per tutta la vita del danneggiato. Si tratta della sofferenza che deriva dalla perdurante percezione della propria invalidità (non poter muovere un arto, non poter deambulare normalmente, …); e della sofferenza derivante dal non poter compiere attività a cui prima si era dediti. Anche in questo caso, al pari di quello che precede, il “patimento morale” è il portato di una lesione fisica, pur essendo ontologicamente diverso da essa (e ciò giustifica il riconoscimento di questa voce di danno in aggiunta a quello biologico); anche qui, dunque, pare corretto un criterio di liquidazione ancorato al danno biologico. Va però considerato che, nella normalità dei casi, il primo dei pregiudizi sopra descritti (sofferenza derivante dalla perdurante percezione della lesione fisica) può ritenersi provato in via presuntiva, poiché è normale che dalla lesione alla integrità fisica derivi questo tipo di sofferenza; non così il secondo (sofferenza derivante dal non poter fare), che deve essere positivamente dimostrato dando la prova delle attività cui prima si era dediti e che sono oggi precluse.

Si ritiene quindi che il danno in oggetto, ove sia limitato alla sofferenza morale derivante dalla lesione, possa essere liquidato in misura variabile da un quarto alla metà del danno biologico; qualora invece siano provati pregiudizi ulteriori (non poter svolgere specifiche attività cui il danneggiato era effettivamente e con una certa continuità dedito), indicativi di una più intensa “sofferenza da privazione”, il danno vada liquidato in misura superiore, da un minimo di un terzo a un massimo corrispondente all’intero importo del danno biologico.

3.3 Rientrano in questo gruppo i casi in cui il “patimento” da risarcire è completamente svincolato dal pregiudizio fisico, il quale può essere minimo o anche del tutto assente; si pensi al danno derivante da una diffamazione; ovvero quello derivante dall’essersi sottoposto a un lungo e penoso ciclo di cure mediche inutili (pur se non dannose). In dette ipotesi la liquidazione deve essere svincolata da quella del danno biologico (quand’anche esistente) e ancorata a criteri che non possono essere indicati in astratto, perché devono trovare riscontro nelle peculiarità della singola fattispecie.

4. In applicazione dei criteri sopra enunciati, i danni subiti da ***** vengono liquidati come segue.

A) DANNI NON PATRIMONIALI

1. Danno biologico da invalidità permanente. Per l’accertamento di questo danno è stato conferito mandato a un collegio di periti, dotato delle competenze per valutare i diversi aspetti delle lesioni allegate dall’attore. Scrivono i CTU che il sig. ***** riportò “politrauma con trauma craniofacciale

con fratture multiple del massiccio frontale con emoseno bilaterale, frattura del condilo mandibolare sinistro e fratture a carico degli elementi dentari 11, 12, 21; frattura composta articolare dell’epifisi distale del polso destro; frattura diafisaria del femore destro con terzo frammento; frattura dell’emipiatto tibiale esterno del ginocchio destro” (relazione dr. Massazza, p. 8). A distanza di circa 6 anni dal fatto il quadro clinico, ormai stabilizzato e non suscettibile di evoluzioni migliorative, è connotato da “sindrome algodisfunzionale a carico dell’apparato masticatorio, modesta artralgia del polso destro, esiti algo disfunzionali all’arto inferiore destro”. I CTU hanno escluso invece la presenza di un danno biologico psichico in nesso di causalità col sinistro. E questa esclusione – che costituisce l’unico punto controverso dell’elaborato peritale – si ritiene condivisibile. Il CTU dr. *****, dopo una approfondita analisi del periziato, ha concluso che il trauma “sembra non avere avuto significative ripercussioni sull’equilibrio” dell’attore. E’ certamente vero che l’esame del ***** ha messo in evidenza alcuni problemi psichici (disturbi dell’emotività e dell’affettività, difficoltà di relazione, lentezza ed incoerenza nell’eloquio); ma si tratta di patologie che, all’esito della documentazione esaminata dai periti, devono considerarsi preesistenti al fatto. Ed invero “la storia personale del ***** è ricca di eventi significativi che evidenziano la presenza di traumi di natura affettiva nell’infanzia, la perdita degli abituali punti di riferimento, una vita trascorsa, dopo la precoce morte della madre avvenuta quando egli aveva solo dieci anni, parte con i nonni paterni, parte con il padre”; ed ancora, il rifiuto verso la compagna del padre e il rapporto conflittuale con quest’ultimo (relazione ***** p. 23). E’ altresì emerso che dopo l’incidente il ha trovato capacità di reagire e nuove motivazioni che depongono, semmai, per un miglioramento della condizione psico-patologica preesistente: si è legato a una compagna, ha vissuto per circa due anni all’estero, dove ha anche lavorato presso un supermercato; attualmente si muove in modo autonomo; vive, insieme alla propria compagna, presso la nonna materna, ammalata di Alzheimer, che accudisce. In definitiva, non risulta che, in risposta allo stimolo costituito dall’incidente, il abbia sviluppato o aggravato sintomi emotivi o comportamentali clinicamente significativi. Deve quindi escludersi l’esistenza di un danno psichico suscettibile di risarcimento. In accordo con le conclusioni dei CTU, la lesione alla integrità fisica va quantificata nella misura del 25%. Tenuto conto della entità dei postumi e dell’età del danneggiato all’epoca del sinistro (24 anni), si ritiene congruo attribuire a ciascun punto il valore di € 2.500 e di liquidare questa voce di danno in € 62.500. Vanno poi presi in considerazione, per una adeguata “personalizzazione” del risarcimento, i riflessi oggettivi e soggettivi del danno biologico, apprezzabili eminentemente tramite accertamento medico legale e consistenti – come detto sopra – nell’incidenza dei postumi su sport, attività fisiche in genere, attività lavorativa svolta dal danneggiato; l’apprezzamento di questi postumi comporta una diminuzione o un incremento ulteriore del danno biologico come sopra calcolato fino al 50%. Per una adeguata personalizzazione meritano di essere considerati, per un verso i riflessi estetici della lesione fisica: il ***** ha subito plurime fratture del massiccio facciale che – oltre alle disfunzioni masticatorie – hanno alterato significativamente il suo aspetto; per altro verso, i riflessi sulla capacità lavorativa; infatti “le menomazioni riportate interessanti l’arto inferiore destro potranno comportare all’infortunato disagio e maggior affaticamento nello svolgimento di eventuali attività lavorative future che richiedano mantenimento protratto della stazione eretta, prolungata deambulazione, ripetuti movimenti di flesso-estensione sugli arti inferiori” (CTU p. 11). Si ritiene pertanto congruo incrementare l’entità del risarcimento nella misura del 20%, con conseguente definitiva determinazione del danno biologico da invalidità permanente nella misura di € 75.000.

2. Danno biologico da invalidità temporanea. Questa voce di danno deve essere liquidata in base ai parametri adottati dalla giurisprudenza di questa Sezione (decorrenza maggio 2008) con riferimento a ciascun giorno di malattia; e dunque:

· per 30 giorni di invalidità totale (100%): € 1.343,10 (pari a € 44,77 al giorno);

· per 60 giorni di invalidità parziale al 75%: € 2.014,80 (pari a € 33,58 al giorno);

· per 90 giorni di invalidità parziale al 50%: € 2.016 (pari a € 22,40 al giorno);

per un totale di € 5.373,90.

3. Danno “da sofferenza”. Richiamate le considerazioni generali svolte sopra, e con riferimento al caso di specie, si osserva anzitutto che l’illecito di cui il ***** è rimasto vittima integra gli estremi del reato di lesioni colpose. E tanto basta a fondare il ristoro di tutti i pregiudizi non patrimoniali diversi dalla lesione fisica in senso stretto. La fattispecie può inquadrarsi fra quelle sopra descritte al punto 3.2, caratterizzate dal fatto che la sofferenza è conseguenza di una lesione fisica o psichica di una certa gravità (in questo caso di gravità notevole); e, dopo un periodo più “acuto”, coincidente con la durata della malattia temporanea, è normalmente destinata a durare per tutta la vita del danneggiato. Alla sofferenza derivante dalla percezione costante e rinnovata nel tempo della propria inabilità fisica (la cui esistenza può ritenersi dimostrata in via presuntiva) si accompagnano, nel caso di specie, ulteriori patimenti, che sono stati oggetto di specifica prova: la perdita delle gratificazioni lavorative; la perdita della possibilità di praticare lo sport del karate. Quanto alla prima, si richiama le deposizione del padre di *****,*****, il quale ha riferito delle soddisfazioni che il figlio aveva raggiunto nella attività lavorativa svolta presso l’agenzia *****; e di come questa attività non sia potuta continuare dopo l’incidente a causa delle menomate condizioni fisiche dell’attore (che incidevano sia sulla capacità di deambulare a lungo, sia sull’ “impatto estetico” con la clientela dell’agenzia).

Quanto alla seconda, si richiamano le dichiarazioni rilasciate dal ***** al CTU dr. ***** sulla pratica di numerosi sport, in particolare del karate, fin dalla giovane età; tali dichiarazioni esplicitate anche nell’atto introduttivo non sono state in alcun modo contestate dai convenuti. Per la liquidazione di questa voce di danno si ritiene di dover considerare anche la lunga durata della malattia temporanea (6 mesi) e la sofferenza per le cure odontoiatriche a cui il ***** si è sottoposto e dovrà assoggettarsi in futuro. Alla luce di tutti questi elementi si ritiene di dover liquidare questa voce di pregiudizio in 48.000 pari a circa 3/5 (con lieve arrotondamento per difetto) di quanto riconosciuto a titolo di danno biologico (da invalidità temporanea e permanente).

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Il danno non patrimoniale deve pertanto essere liquidato nella complessiva misura di € 128.373,90, calcolato in base alle ultime tabelle elaborate da questo ufficio e, dunque, con riferimento al maggio 2008. Questa somma deve essere riportata ai valori dell’epoca del sinistro, al fine di determinare l’importo unitario dovuto a titolo di risarcimento dei danni (patrimoniali e non patrimoniali), sul quale calcolare poi la rivalutazione e gli interessi. Effettuata questa devalutazione (sulla base degli indici Istat / Costo della vita), la somma dovuta a titolo di danno non patrimoniale viene determinata, all’epoca del fatto, in € 113.259,83.

B) DANNI PATRIMONIALI

1. Spese mediche e di cura. Le spese sostenute dall’attore per cure e terapie devono essere risarcite nella misura in cui sono state ritenute congrue e necessarie dal nominato CTU. La relazione peritale – che non è stata fatta oggetto, sul punto, di alcuna contestazione, e che risulta congruamente motivata – ha valutato necessarie in relazione alla accertata patologia le spese sostenute dall’attore e documentate nella misura di € 4.785. A tale importo va aggiunto il costo per le consulenze medico legali ante causa, trattandosi di atti medici necessari per la quantificazione dei danni psico-fisici e, dunque, per poter consapevolmente tutelare i propri diritti. Tali spese ammontano a € 1.080. Le spese mediche da ammettere a risarcimento ammontano quindi a € 5.865.

2. Spese per cure odontoiatriche. Sono state determinate dal CTU dr.***** (nel pieno accordo con i CT di parte) in € 9.750, tenendo conto dei necessari rinnovi delle protesi.

3. Lucro cessante da perdita del lavoro. Nessuna documentazione è stata prodotta relativamente al rapporto di lavoro che il ***** sostiene fosse in essere al momento del sinistro, né relativamente ai redditi percepiti dall’attore. Certamente, per stessa ammissione dell’attore, si trattava di un lavoro non in regola e precario; attendibilmente fonte di gratificazioni, come ha riferito il teste ***** (prese in considerazione ai fini del ristoro del danno non patrimoniale), ma insuscettibile di fondare l’aspettativa a un reddito stabile e costante nel tempo. Appare poi francamente poco attendibile quanto riferito dal padre del ***** in merito alla retribuzione percepita (€ 1.800 mensili), che appare sproporzionata rispetto al tipo di mansioni svolte (volantinaggio e lavoro impiegatizio generico e non qualificato). Si ritiene dunque che la perdita del lavoro precario possa essere risarcita in via equitativa ipotizzando (più realisticamente) una retribuzione di circa 800-1000 euro mensili; e presumendo che il rapporto non regolare si sarebbe protratto, qualora non si fosse verificato il sinistro, per ulteriori 6-8 mesi. Va quindi riconosciuta, in via equitativa, la somma di € 6.000.

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Il danno patrimoniale deve pertanto essere liquidato nella complessiva misura di € 21.615, determinato con riferimento all’epoca del sinistro.

C) RIVALUTAZIONE E INTERESSI

I danni (patrimoniali e non patrimoniali) suscettibili di risarcimento risultavano, pertanto, all’epoca del fatto, pari a complessivi € 134.874,83. Trattandosi di una forma di risarcimento per equivalente e in assenza di specifica prova sull’entità del pregiudizio sofferto dalla parte creditrice, si ritiene – conformemente alla costante giurisprudenza di legittimità – di liquidare il danno emergente in via equitativa attraverso la rivalutazione del capitale secondo gli indici Istat / Costo della vita (così da reintegrarne il valore iniziale, compensando la successiva perdita del potere d’acquisto della moneta) ed il lucro cessante, anch’esso in via equitativa, attraverso l’attribuzione degli interessi legali i quali, al fine di evitare l’ingiustificata locupletazione della parte creditrice, vengono calcolati sul capitale originario rivalutato anno per anno (si richiama l’ormai consolidata giurisprudenza inaugurata con sentenza Cass. 1712/95). Nell’effettuare questo calcolo, occorre ovviamente detrarre gli acconti versati da Fondiaria SAI:

€ 5.600 versati il 13.6.05

€ 5.000 versati il 28.6.06

€ 60.000 versati il 3.12.07

€ 42.200 versati il 25.11.08

A questo riguardo si richiama l’orientamento della Suprema Corte, secondo cui “La liquidazione del danno extracontrattuale, che dev’essere effettuata con riferimento alla data della sentenza, quando deve tener conto degli acconti versati anteriormente dal danneggiante o dal responsabile civile, dev’essere compiuta sottraendo questi importi in maniera che i termini del calcolo siano omogenei; ciò si può conseguire sottraendo gli acconti dal valore del danno al momento del versamento degli stessi acconti oppure rivalutando l’importo degli acconti alla data della liquidazione finale del danno.” (Cass. 10.3.99 n. 2074; v. anche 1.12.99 n. 13358). Si preferisce procedere, nel caso di specie, a sottrarre gli acconti all’importo del danno attualizzato alla data di versamento dell’acconto. In base a tali parametri le somme residue dovute a parte attrice risultano liquidabili, alla data della presente sentenza, in euro 62.619,54 di cui € 134.874,83 per capitale iniziale, € 17.826,01 per rivalutazione e € 22.718,70 per interessi .

5. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e vanno poste interamente carico dei convenuti; liquidazione come da dispositivo, effettuata sulla base dello scaglione tariffario previsto per la somma riconosciuta (al lordo degli acconti versati in corso di causa) e non per quella domandata. Non si ravvisano motivi per procedere a compensazione, neppure parziale, delle spese, ove si consideri che prima del giudizio l’assicuratore aveva corrisposto solo modestissimi acconti (€ 10.600); che un acconto più consistente è stato versato solo a seguito della istanza di provvisionale proposta dall’attore; e che, nonostante l’ulteriore acconto versato all’udienza di discussione i convenuti restano debitori di un consistente importo a titolo di capitale e accessori.

Vanno poste in via definitiva a carico dei convenuti le spese della CTU collegiale, che si liquidano con separato provvedimento in pari data.

P.Q.M.

Il Tribunale di Torino, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da ***** nei confronti di ***** e *****, con ricorso depositato il 6.7.07, ogni diversa istanza ed eccezione

disattesa, così provvede:

dichiara tenuti e condanna ***** e *****, in solido fra loro, al pagamento in favore di ***** di € 62.519,54 (già detratto gli acconti versati), oltre interessi legali dalla pronuncia al saldo;dichiara tenuti e condanna i convenuti, in solido, all’integrale rimborso delle spese del giudizio in favore di *****, liquidandole in € 8.060,94, di cui € 422,94 per spese vive, € 2.638 per competenze e € 5.000 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge; pone in via definitiva le spese di CTU, liquidate come da separato provvedimento in pari data, a carico solidale dei convenuti.

Così deciso in Torino, il giorno 27.11.2008.

Il Giudice

Marco Ciccarelli