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La terza Sezione conferma la risarcibilità del danno morale e detta le linee guida (Cassazione 8669/09)

Materia: Sentenze - Fonte: Cassazione - 29.05.2009
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Abstract: Fondamentale sentenza della terza Sezione, che espressamente riprende Cass. 26972/08 e conferma la risarcibilità del danno morale e offre alcuni spunti interpretativi.

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E' abbastanza evidente come gli stessi Ermelini si siano resi conto degli effetti "nefasti" che taluni passi delle sentenze novembrine hanno creato, e praticamente da subito dopo le sentenze dell'undici novembre (a partire dalla sentenza 28407/08 del 27/11/08 ) sono uscite sentenze che, in maniera più o meno convincente, hanno cercato di riportare alcune certezze nel settore della responsabilità civile.

La sentenza in commento brilla per chiarezza e linearità di esposizione.

I passaggi logici sono i seguenti:

a) va risarcito "quel danno non patrimoniale da reato, che per consolidata tradizione si definiva morale";

b) il "nuovo" danno morale deve essere inteso non più in senso meramente transeunte, infatti tale danno "può essere permanente o temporaneo (circostanze delle quali occorre tenere conto in sede di liquidazione, ma irrilevanti ai fini della risarcibilità)";

c) tale danno "può sussistere sia da solo, sia unitamente ad altri tipi di pregiudizi non patrimoniali (ad es., derivanti da lesioni personali o dalla morte di un congiunto)";

  c1) "in quest'ultimo caso di esso il giudice dovrà tenere conto nella personalizzazione del danno biologico o di quello causato dall'evento luttuoso, mentre non ne è consentita una autonoma liquidazione";

d) in presenza di un fatto lesivo del diritto alla salute è sbagliato procedere "alla liquidazione del danno biologico, dicendolo anche comprensivo del danno alla vita di relazione, senza considerare in alcun modo (ed anzi negandone, come si è visto, la risarcibilità) quello che le Sezioni Unite hanno ritenuto riconducibile al concetto di danno morale";

e) conseguentemente, il giudice " dovrà riconoscere il danno "morale" in qualcosa di più di quanto ha riconosciuto a titolo di danno biologico";

f) nel fare ciò il giudice dovrà accertare " sulla base delle risultanze degli atti e di tutte le circostanza del caso concreto l'entità della sofferenza temporanea cagionata dalle lesioni subite dalla ricorrente e l'eventuale esistenza di una sofferenza permanente", con ciò realizzando la personalizzazione del danno;

g) se è vero che non è più possibile  determinare in modo automatico il danno "morale" in una percentuale del danno biologico,  è altrettanto vero che la quantificazione del danno biologico potrà senza dubbio essere presa come  "elemento per procedere alla detta operazione di personalizzazione, avuto riguardo alle già sopra risultanze degli atti e circostanze del caso concreto"

* * *

In quest'ultimo passaggio mi permetto di rilevare nella Suprema Corte ancora una carenza di "praticità".

Cosa significa personalizzare il danno, da un punto di vista quantitativo?

Come interpretare quel "qualcosa di più"?

Lasciamo ad ogni giudice la possibilità di personalizzare a piacere?

Il rischio che danni eguali vengano risarciti in misura differente a seconda delle sensibilità mi sembra troppo forte: se è vero che è sbagliato risarcire in maniera eguale indifferenziata danni diversi (come a volte succedeva) forse addirittura peggio è risarcire in maniera differente danni eguali (come sta capitando oggi).

Senza dimenticare che molte situazioni risarcitorie non arrivano nella aule dei tribunali, e bisognerà pur dare agli operatori del settore delle linee guida (oserei chiamarle "tabelle") che permettano ai danneggiati di ottenere il pieno risarcimento dei danni patiti.

Questa è la sfida che ci attende, mentre la partita sulla risarcibilità o meno del danno cd. "morale" pare francamente conclusa.

Renato Savoia

* * *

Cass. civ. Sez. III, 09-04-2009, n. 8669

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario - Presidente

Dott. FEDERICO Giovanni - Consigliere

Dott. SPIRITO Angelo - Consigliere

Dott. FRASCA Raffaele - rel. Consigliere

Dott. D'AMICO Paolo - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza


sul ricorso 13540/2004 proposto da:

*****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA *****, presso lo studio dell'avvocato ***** *****dagli avvocati *****, ***** come da mandato a margine del presente ricorso; - ricorrente -

contro

***** ASSIC SPA, in persona del Procuratore Speciale Avv. ***** elettivamente domiciliata in ROMA, VIA *****, presso lo studio dell'avvocato *****, rappresentato e difeso dall'avvocato ***** in virtù di procura in calce al controricorso; - controricorrente -

e contro


***** - intimato-

avverso la sentenza n. 1635/2003 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI, Sezione 4^ emessa il 06.05.03, depositata 14/05/2003; R.G.N. 913/01;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/02/2009 dal Consigliere Dott. FRASCA RAFFAELE;

udito l'Avvocato *****;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CENICCOLA Raffaele, che ha concluso per il rigetto del primo, l'accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

*****, nel marzo del 1992, conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Napoli ***** e la sua compagnia assicuratrice ***** s.p.a., per sentirli condannare al risarcimento dei danni sofferti a seguito di un sinistro stradale occorso in *****), allorquando l'autovettura condotta dal ***** e di sua proprietà, aveva urtato la moto sulla quale l'attrice era trasportata, scaraventandola a terra e provocandole gravi lesioni.

Entrambi i convenuti si costituivano contestando la domanda ed il ***** svolgeva domanda riconvenzionale.

Il Tribunale, all'esito dell'istruzione, espletata con prove testimoniali e con una consulenza tecnica, con sentenza del 10 giugno 2000 rigettava sia la domanda principale che quella riconvenzionale.

La ***** appellava la sentenza dinanzi alla Corte d'Appello di Napoli, che, nella resistenza della società assicuratrice e nella contumacia del *****, in parziale accoglimento dell'appello, con sentenza del 14 maggio 2003, dichiarava la concorrente ed eguale responsabilità dei due conducenti nella causazione del sinistro e condannava i convenuti al risarcimento dei danni in proporzione, nella misura di Euro 15.298,00, oltre accessori.

Contro questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi la *****.

Ha resistito con controricorso soltanto *****.

Non ha resistito il *****.

La ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso si denuncia "insufficiente, contraddittoria motivazione. Difetto di motivazione circa in punto decisivo della controversia in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5".

Ci si duole che la Corte d'Appello abbia ritenuto che l'istruttoria espletata in primo grado non abbia consentito di ricostruire l'esatta dinamica dell'incidente e quindi di ritenere superata la presunzione di cui dell'art. 2054 c.c., comma 2, a favore di uno dei conducenti, a motivo che i testi reciprocamente indotti avrebbero dato versioni contrastanti di detta dinamica.

Ad avviso della ricorrente la Corte territoriale avrebbe letto erroneamente le risultanze probatorie e l'illustrazione del motivo si sviluppa dapprima sostenendo - senza però riprodurre le deposizioni testimoniali, salvo una sola - che la dinamica del sinistro sarebbe stata ricostruita da tutti i testi in modo diverso da quanto riferito dalla sentenza impugnata e che, pertanto, vi sarebbe stato travisamento dei fatti da parte della Corte napoletana.

L'illustrazione del motivo, quindi, continua prospettando sulla base di un dato che emergerebbe dalle testimonianze (e non solo da quella riportata) una diversa ricostruzione della dinamica del sinistro, che evidenzierebbe la responsabilità del solo ***** . Il motivo è inammissibile perchè non osserva il principio di autosufficienza dell'esposizione del motivo di ricorso per cassazione, atteso che non riproduce (in termini, ex multis, Cass. n. 4405 del 2006) le dichiarazioni testimoniali che consentirebbero di ricostruire il sinistro nei termini in esso sostenuti. E' appena il caso di dire che la riproduzione di una sola di esse non assolve all'onere di rispetto del detto principio.

Con il secondo motivo si lamenta "violazione e falsa applicazione dell'art. 2054 c.c., comma 2 e art. 2059 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3", sotto il profilo che la Corte territoriale ha negato la risarcibilità del "danno morale" per essere stata affermata la responsabilità del ***** ai sensi dell'art. 2054 c.c., comma 2, cioè in base ad una presunzione di responsabilità, così disconoscendo i principi in contrario affermati dalle sentenze di questa Corte nn. 7281, 7282 e 7283 del 2003.

Nell'esaminare il motivo la Corte deve considerare che la sentenza impugnata, là dove ha negato la detta risarcibilità ha chiaramente, ancorchè implicitamente, assunto ratione temporis una nozione di danno morale nel senso tradizionalmente inteso per lungo tempo dalla dottrina e dalla stessa giurisprudenza di questa Corte, cioè nel senso di sofferenza soggettiva transeunte cagionata dal reato.

La Corte territoriale, infatti, ha riconosciuto esistente ed ha liquidato il ed. danno biologico, a seguito dell'accertamento da parte della consulenza tecnica esperita nelle fasi di merito di postumi permanenti a carico della qui ricorrente, determinati, come comprensivi anche di quello che ha espressamente definito come "danno alla vita di relazione, nella misura del 14%". Tali danni ha quantificato in base alle ed. tabelle milanesi. Solo dopo avere liquidato il danno biologico così determinato (ed avere determinato, inoltre, anche il danno da invalidità temporanea totale e parziale), la Corte territoriale ha espressamente negato il "danno morale", in ragione del riconoscimento della responsabilità in base alla presunzione di cui all'art. 2054 c.c., comma 2. E' evidente che il danno morale così espressamente negato era stato richiesto dalla parte qui ricorrente come un qualcosa di più rispetto a quello la Corte territoriale ha riconosciuto come danno biologico. Ed è anche palese che la Corte stessa l'ha disconosciuto come danno diverso da quello che ha liquidato come danno biologico, identificato nei termini sopra riferiti. Il che conferma che l'ha assunto nel significato tradizionale innanzi indicato.

Ciò premesso, il motivo è fondato e va accolto.

Innanzitutto, va rilevato che la Corte d'Appello - siccome correttamente sostenuto dalla ricorrente - ha seguito l'orientamento più risalente di questa Corte, superato - poco tempo dopo la pronuncia della sentenza qui impugnata - dalle coeve sentenze invocate dalla ricorrente e, particolarmente a proposito della presunzione di cui all'art. 2054 c.c., da Cass. n. 7282 del 2003 e n. 7283 del 2003, che, infatti, ebbero a statuire il seguente principio di diritto: "Alla risarcibilità del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.p. e art. 185 c.p., non osta il mancato positivo accertamento della colpa dell'autore del danno, se essa, come nel caso di cui all'art. 2054 c.c., debba ritenersi sussistente in base ad una presunzione di legge e se, ricorrendo la colpa, il fatto sarebbe qualificabile come reato".

Successivamente alle dette pronunce, la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente confermato quel principio di diritto, che, evidentemente era riferito anche a quella particolare specie di danno non patrimoniale che tradizionalmente si denominava come danno morale.

Poichè la sentenza impugnata è in contrasto con il detto principio di diritto se ne deve disporre la cassazione.

Il giudice di rinvio si dovrà attenere ad esso e, quindi, dovrà riconoscere l'esistenza di quel danno non patrimoniale da reato, che per consolidata tradizione si definiva morale.

Il Collegio ritiene a questo punto necessario avvertire che, nella liquidazione di tale danno, il giudice di rinvio dovrà, peraltro, tenere conto dei principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte nella comune motivazione delle sentenze nn. 26972, 26973, 26974 e 26975 del 2008 ed in particolare: a) sia della determinazione della nozione di danno "morale", quale particolare voce di danno non patrimoniale ai sensi dell'art. 2059 c.c., in senso diverso e più ampio rispetto alla nozione tradizionale; b) sia dei rapporti fra esso, così come nuovamente individuato, ed il danno tradizionalmente identificato come danno c.d. biologico.

Sotto l'aspetto sub a), le Sezioni Unite hanno affermato che "nell'ambito della categoria generale del danno non patrimoniale, la formula danno morale non individua una autonoma sottocategoria di danno, ma descrive, tra i vari possibili pregiudizi non patrimoniali, un tipo di pregiudizio, costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sè considerata. Sofferenza la cui intensità e durata nel tempo non assumono rilevanza ai fini della esistenza del danno, ma solo della quantificazione del risarcimento".

Sotto l'aspetto sub b) le Sezioni Unite hanno enunciato i seguenti principi di diritto:

a) "Quando il fatto illecito integra gli estremi di un reato, spetta alla vittima il risarcimento del danno non patrimoniale nella sua più ampia accezione, ivi compreso il danno morale, inteso quale sofferenza soggettiva causata dal reato. Tale pregiudizio può essere permanente o temporaneo (circostanze delle quali occorre tenere conto in sede di liquidazione, ma irrilevanti ai fini della risarcibilità), e può sussistere sia da solo, sia unitamente ad altri tipi di pregiudizi non patrimoniali (ad es., derivanti da lesioni personali o dalla morte di un congiunto): in quest'ultimo caso, però, di esso il giudice dovrà tenere conto nella personalizzazione del danno biologico o di quello causato dall'evento luttuoso, mentre non ne è consentita una autonoma liquidazione";

b) "Il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, nella cui liquidazione il giudice deve tenere conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, ma senza duplicare il risarcimento attraverso l'attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici. Ne consegue che è inammissibile, perchè costituisce una duplicazione risarcitoria, la congiunta attribuzione alla vittima di lesioni personali, ove derivanti da reato, del risarcimento sia per il danno biologico, sia per il danno morale, inteso quale sofferenza soggettiva, il quale costituisce necessariamente una componente del primo (posto che qualsiasi lesione della salute implica necessariamente una sofferenza fisica o psichica)".

Ora, nel caso di specie la Corte territoriale - in presenza di un fatto lesivo rappresentato da lesioni personali e, quindi, certamente determinativo di una lesione alla salute, intesa nell'ampio senso indicato dalle Sezioni Unite - ha proceduto alla liquidazione del danno biologico, dicendolo anche comprensivo del danno alla vita di relazione, senza considerare in alcun modo (ed anzi negandone, come si è visto, la risarcibilità) quello che le Sezioni Unite hanno ritenuto riconducibile al concetto di danno morale, siccome identificato nel primo principio di diritto appena riprodotto, cioè senza considerare la sofferenza fisica e psichica, temporanea o permanente derivata dalla più ampia lesione alla salute sofferta dalla ricorrente.

Si è, pertanto, in presenza di una liquidazione del danno derivante dalla lesione della salute così ampiamente intesa che è avvenuta in modo parziale, cioè soltanto con riferimento ad uno dei suoi possibili componenti e non anche con riferimento a quello rappresentato dalla detta sofferenza.

Ne discende allora che il giudice di rinvio dovrà procedere alla riliquidazione del danno alla salute in tutte le sue componenti, ma, per essersi formata cosa giudicata interna sulla liquidazione della componente danno biologico da postumi permanenti delle lesioni, considerati anche come comprensivi del pregiudizio che la Corte territoriale ha chiamato alla vita di relazione, dovrà assumere come componente necessaria della nuova unitaria liquidazione del danno de quo quanto riconosciuto per danno biologico nei detti sensi. E, quindi, dovrà riconoscere il danno "morale" in qualcosa di più di quanto ha riconosciuto a titolo di danno biologico. Inoltre, nel procedere alla liquidazione unitaria e, di risulta, a quella del danno "morale", dovrà accertare, ai fini dell'identificazione di quest'ultimo, sulla base delle risultanze degli atti e di tutte le circostanza del caso concreto (e, naturalmente con la considerazione dei limiti del giudizio di rinvio), l'entità della sofferenza temporanea cagionata dalle lesioni subite dalla ricorrente e l'eventuale esistenza di una sofferenza permanente, così realizzando l'operazione di personalizzazione della complessiva liquidazione indicata dalle Sezioni Unite.

Poichè ai fini della liquidazione del danno biologico per come l'ha riconosciuto la Corte territoriale ha utilizzato le ed. tabelle milanesi, fermo restando che non potrà determinare in modo automatico il danno "morale" in una percentuale del danno de quo, secondo una prassi applicativa che le Sezioni Unite hanno disatteso nella motivazione delle sentenze citate, quella Corte potrà senza dubbio considerare quanto liquidato in base a dette tabelle e comunque quanto risultante da esse come elemento per procedere alla detta operazione di personalizzazione, avuto riguardo alle già sopra risultanze degli atti e circostanze del caso concreto. In definitiva, la Corte territoriale si conformerà a quanto la sentenza n. 26972 del 2008 ha precisato nel paragrafo 4.9. della motivazione.

La sentenza impugnata è, dunque, cassata in accoglimento del secondo motivo. Il primo motivo è dichiarato inammissibile.

Il giudice di rinvio, che si designa in altra sezione della Corte napoletana, provvedere sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte:

Accoglie il secondo motivo di ricorso. Rigetta il primo motivo. Cassa la sentenza impugnata in relazione e rinvia ad altra Sezione della Corte di Appello di Napoli, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 4 febbraio 2009.

Depositato in Cancelleria il 9 aprile 2009