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Si alle tabelle, purchè il danno sia personalizzato (Cassazione 16448/09)

Materia: Cassazione - Fonte: Cassazione - 12.08.2009
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Abstract: Ma la liquidazione non può essere simbolica o irrisoria ...

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Con la sentenza sottoriportata, la Cassazione "salva" le tabelle per la liquidazione del danno biologico, a condizione però che nell'applicazione pratica non si assista ad un mero calcolo aritmetico, ma si giunga sempre a personalizzare il danno (ciò evidentemente sulla scorta dei più recenti insegnamenti della Suprema Corte).

 

Premesso che

 

l’unica possibile forma di liquidazione - per ogni danno che sia privo, come quello biologico e quello morale, delle caratteristiche della patrimonialita’ - e’ quella equitativa

 

in concreto ,

 

la liquidazione del danno biologico può essere effettuata dal giudice, con ricorso al metodo equitativo, anche attraverso l’applicazione di criteri predeterminati e standardizzati, e può essere legittimamente effettuata dal giudice sulla base delle stesse "tabelle" utilizzate per la liquidazione del danno biologico, portando, in questo caso, alla quantificazione del danno morale in misura pari ad una frazione di quanto dovuto dal danneggiante a titolo di danno biologico, purche’ il risultato, in tal modo raggiunto, venga poi "personalizzato", tenendo conto della particolarita’ del caso concreto e della reale entita’ del danno, con la conseguenza che non puo’ giungersi a liquidazioni puramente simboliche o irrisorie (Cass., 12 maggio 2006, n. 11039; Cass., 28.8.2007, n. 18178).

 

* * *

Altro interessante principio affermato nella pronuncia  è quello per cui  nel caso di pagamenti parziali occorre tener presente che

 

l’art. 1194 c.c. (che prescrive di imputare i pagamenti parziali prima agli interessi, e quindi al capitale) e’ stato dettato con riferimento alle obbligazioni pecuniarie, mentre non trova applicazione in materia di risarcimento del danno derivante da atto illecito.

 

Renato Savoia 

 

* * *

 

Cass. civ. Sez. III, 15-07-2009, n. 16448

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto - Presidente

Dott. FICO Nino - Consigliere

Dott. CHIARINI Maria Margherita - Consigliere

Dott. SPIRITO Angelo - Consigliere

Dott. D’AMICO Paolo - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

*****, *****, elettivamente domiciliati in ROMA, *****, presso lo studio dell’avvocato *****, rappresentati e difesi dall’avvocato ***** giusta delega a margine del ricorso;- ricorrenti -

contro

*****, *****; - intimati -

E sul ricorso n. 10452/2004 proposto da:

*****, in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione - legale rappresentante pro tempore Dott. *****, elettivamente domiciliata in ROMA, *****, presso lo studio dell’avvocato *****, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ***** giusta delega a margine del controricorso e ricorso incidentale. - ricorrente –

contro

*****, *****, *****; - intimati -

avverso la sentenza n. 208/2003 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, sezione seconda civile emessa il 12/2/2003, depositata il 15/03/2003; RG. 857/2000;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 04/03/2009 dal Consigliere Dott. D’AMICO Paolo;

udito l’Avvocato *****;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI CARMELO, che ha chiesto il rigetto principale e incidentale.

Svolgimento del processo

***** e ***** convenivano davanti al Tribunale di Cremona la ***** e ***** chiedendo che costoro venissero condannati a pagare loro la somma di L. 3.500.000.000 a titolo di risarcimento danni subiti dallo stesso ***** e di riflesso dalla moglie e dai figli a seguito di un incidente stradale a loro avviso imputabile a parte convenuta.

Il Tribunale di Cremona condannava al risarcimento dei danni extracontrattuali, ***** e la ***** e respingeva la domanda proposta dai congiunti dello S. (la moglie ***** con i figli minorenni ***** e *****.) ritenendo la loro domanda abbandonata in quanto non coltivata.

La sentenza del Tribunale di Cremona era impugnata, in via principale, dalla ***** e da ***** e, in via incidentale, dallo ***** e dalla *****.

La Corte d’Appello di Brescia accoglieva parzialmente sia l’appello principale proposto da *****, in persona del suo legale rappresentante, nonche’ gli appelli incidentali proposti da ***** e ***** contro la sentenza n 68 del Tribunale di Cremona in data 31/1 - 22/2/2000 e cosi’ rideterminava il risarcimento dei danni spettante a *****:

condannava *****, e *****, in solido, al seguente risarcimento a favore di *****:

Euro 242.925,04 oltre interessi compensativi al tasso legale annuo sulla minor somma di Euro 190.945,12 dal 3.3.1988 alla data di pubblicazione della sentenza, e quindi, gli interessi moratori al tasso legale, sulla somma di Euro 242.925,04, dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza fino al saldo;

Euro 121.462,52 oltre interessi compensativi al tasso legale annuo sulla minor somma di Euro 93.839,95 dal 3/3/1987 alla data di pubblicazione della presente sentenza, e quindi, gli interessi moratori al tasso legale, sulla somma di Euro 121.462,52, dal giorno successivo alla pubblicazione della presente sentenza fino al saldo;

Euro 18.850,68 oltre interessi compensativi al tasso legale annuo sulla minor somma di Euro 14.563,73 dal 3.3.1987 alla data di pubblicazione della presente sentenza, e quindi, gli interessi moratori al tasso legale, sulla somma di Euro 18.850,68, dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza fino al saldo;

Euro 323.041,54 oltre interessi compensativi al tasso legale annuo sulla minor somma di Euro 253.918,67 dal 3/3/1988 alla data di pubblicazione della presente sentenza, e quindi, gli interessi moratori al tasso legale, sulla somma di Euro 323.041,54, dal giorno successivo alla pubblicazione della presente sentenza fino al saldo;

Euro 3.410,40 oltre interessi compensativi al tasso legale annuo sulla minor somma di Euro 2.634,85 dal 3/3/1987 alla data di pubblicazione della presente sentenza, e quindi, gli interessi moratori al tasso legale, sulla somma di Euro 3.410,40, dal giorno successivo alla pubblicazione della presente sentenza fino al saldo;

Euro 4.277,55 oltre interessi compensativi al tasso legale annuo sulla minor somma di Euro 3.362,2 6 dal 3/3/1988 alla data di pubblicazione della presente sentenza, e quindi, gli interessi moratori al tasso legale, sulla somma di Euro 4.277,55, dal giorno successivo alla pubblicazione della presente sentenza fino al saldo;

dichiarava che dall’importo complessivo come sopra determinato va detratta la somma di Euro 1.093.007,43 oltre rivalutazione Istat dal giorno successivo alla pubblicazione della presente sentenza al saldo;

condannava ***** a restituire alla *****, in persona del suo legale rappresentante, le eventuali somme in eccesso percepite rispetto a quanto stabilito nella presente sentenza, con gli interessi legali dal 29/3/2000 al saldo;

respingeva l’appello proposto da *****;

Condannava la ***** e ***** in solido al pagamento delle spese processuali del giudizio di primo grado a favore di ***** e compensava integralmente le spese processuali del grado.

Proponevano ricorso per Cassazione ***** e *****.

Resisteva con controricorso e proponeva contestuale ricorso incidentale la *****.

Motivi della decisione

I ricorsi devono essere previamente riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

Con il primo motivo parte ricorrente denuncia “Violazione dell’art. 2043 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 per omessa motivazione su un punto decisivo della controversia”.

L’omessa motivazione viene denunciata perche’ il secondo giudice non ha fatto alcun riferimento alla circostanza della necessita’ dell’assunzione di un dipendente laureato per il funzionamento della farmacia e perche’ la gestione della stessa potesse raggiungere il 100% del reddito. La Corte d’appello non ha quindi detto nulla, si afferma, sull’incremento che avrebbe potuto essere creato dall’unico titolare e proprietario della farmacia, limitandosi ad affermare che il reddito prodotto negli anni successivi all’incidente e’ stato piu’ o meno identico, trovando gli incrementi spiegazione con l’aumento del costo della vita.

La censura non puo’ essere accolta per la sua non autosufficienza: essa infatti fa rinvio ad un verbale d’udienza ed ai chiarimenti del c.t.u. senza riprodurne il relativo contenuto. Del resto l’impugnata sentenza, con accertamento di fatto, ha rilevato che la tesi dell’attuale ricorrente non trova alcun riscontro probatorio e risulta smentita dalla circostanza che il reddito prodotto negli anni successivi all’incidente e’ stato sostanzialmente uguale, mentre gli aumenti trovavano spiegazione nell’aumento del costo della vita.

Con il secondo motivo si denuncia “violazione degli artt. 2043, 2059 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 per omessa o insufficiente motivazione”. E si ritiene in particolare apodittica e viziata l’affermazione che la liquidazione del danno morale nella misura del 50% di quello biologico debba ritenersi completamente satisfattiva.

Il motivo e’ infondato.

Come ha affermato questa Corte, l’unica possibile forma di liquidazione - per ogni danno che sia privo, come quello biologico e quello morale, delle caratteristiche della patrimonialita’ - e’ quella equitativa. Infatti, una precisa quantificazione pecuniaria e’ possibile in quanto esistano dei parametri normativi fissi di commutazione, in difetto dei quali il danno non patrimoniale non puo’ mai essere provato nel suo preciso ammontare, fermo restando il dovere del giudice di dar conto delle circostanze di fatto da lui considerate nel compimento della valutazione equitativa e del percorso logico che lo ha condotto a quel determinato risultato. In particolare, prosegue questa Corte, la liquidazione del danno biologico può essere effettuata dal giudice, con ricorso al metodo equitativo, anche attraverso l’applicazione di criteri predeterminati e standardizzati, e può essere legittimamente effettuata dal giudice sulla base delle stesse "tabelle" utilizzate per la liquidazione del danno biologico, portando, in questo caso, alla quantificazione del danno morale in misura pari ad una frazione di quanto dovuto dal danneggiante a titolo di danno biologico, purche’ il risultato, in tal modo raggiunto, venga poi "personalizzato", tenendo conto della particolarita’ del caso concreto e della reale entita’ del danno, con la conseguenza che non puo’ giungersi a liquidazioni puramente simboliche o irrisorie (Cass., 12 maggio 2006, n. 11039; Cass., 28.8.2007, n. 18178).

L’impugnata sentenza, seppur ha in effetti indicato che la misura del danno morale, quantificata nel 50% del danno biologico permanente, doveva ritenersi “ampiamente satisfattiva” ed ha quindi logicamente seppur sinteticamente motivato la scelta operata.

Con il terzo motivo si denuncia “Violazione dell’art. 189 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 per contraddittoria motivazione”.

Afferma l’impugnata sentenza che dal 18.2.1991 e’ sempre comparso solo l’***** e che nessuna attivita’ processuale fu svolta a favore di ***** dai precedenti avvocati i quali, deve ritenersi, avevano rinunciato al mandato, tant’e’ che le conclusioni furono presentate solo nell’interesse dello *****, mentre nessuna difesa fu svolta per la ***** e per i di lei figli minorenni. L’impugnata sentenza ritiene quindi che la domanda proposta dalla ***** fu abbandonata.

Parte ricorrente osserva invece che: la motivazione contiene una contraddizione in termini, poiche’ e’ proprio il comportamento processuale della *****, in sede di impugnazione, che chiarisce come ella non abbia mai inteso abbandonare la domanda, riproposta nella sede di gravame e, in assenza di qualsiasi circostanza esterna provata, conferma una rinuncia al mandato da parte dei precedenti difensori. La contraddittorieta’ della motivazione del giudice starebbe inoltre nell’avere questi affermato che l’inequivocabile comportamento omissivo della ricorrente consiste nella mancata riproposizione della domanda e non invece della mancata precisazione delle conclusioni. (Cass. 9 ottobre 1998 n. 10027; Cass., 18 febbraio 1983 n. 1261).

Anche questo deve essere rigettato in quanto non autosufficiente ed inidoneo. Il Giudice ha infatti ricostruito il comportamento processuale desumendo l’abbandono della domanda dei familiari dalla assenza totale di impugnative fino alle conclusioni mentre non puo’ invece valere in senso contrario un argomento astratto come quello contenuto nel ricorso per cui la omessa precisazione vale come richiamo alle precedenti conclusioni.

Con il quarto motivo si denuncia infine “Violazione dell’art. 2043 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 per contraddittoria ed omessa motivazione”.

La contraddittorieta’, si afferma, appare ictu oculi nell’affermazione che il dott. ***** ebbe a percepire il reddito della farmacia perche’ questa rimase aperta essendo stata affidata ad un collaboratore, dovendosi ritenere che il danno da lucro cessante e’ finalizzato a risarcire il danneggiato dal mancato guadagno corrispondente al periodo di invalidita’ ora, si afferma, delle due l’una: o il danneggiato viene risarcito dalla somma che egli ha dovuto pagare al dipendente che e’ stato assunto a causa del fatto lesivo o deve essere risarcito per il minor reddito conseguente al costo dello stesso dipendente (danno emergente o lucro cessante).

Il motivo e’ fondato, seppure con la precisazione che non si tratta di lucro cessante per le ragioni illustrate nel motivo n. 1 bensi’ di danno emergente (Cass., sez. un., 12 novembre 1988, n. 6132).

La ***** ha proposto ricorso incidentale affidato ad otto motivi con il quali rispettivamente denuncia:

1) “nullita’ della sentenza ex art. 360 n. 4 c.p.c. per violazione dell’art. 132 c.p.c., dell’art. 156 c.p.c., comma 2, nonche’ per violazioni del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato sotto il profilo dell’omessa pronuncia di cui all’art. 112 c.p.c.”;

3) “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dal ricorrente incidentale e rappresentato dalla pregressa estinzione integrale dell’obbligazione risarcitoria mediante esatto adempimento del debitore (ex art. 360 c.p.c., n. 5)”.

3) “violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3 degli artt. 1176, 1183 e 1188 c.c. in materia di estinzione delle obbligazioni mediante esatto e puntuale adempimento della prestazione dedotta”;

4) “violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3 degli artt. 1242 e 1243 c.c. in materia di estinzione per compensazione di debiti reciproci”;

5) “violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3 degli artt. 2056, 2057, 2058 e 2059 c.c. in materia di risarcimento del danno”;

6) “violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3 dell’art. 1194 c.c. in materia di imputazione dei pagamenti per l’estinzione di obbligazioni di valore”;

7) “violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3 degli artt. 1224 e 2697 c.c. in materia di onere della prova del maggior danno subito per effetto del ritardo nel pagamento”;

8) “violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3 dell’art. 91 c.p.c. in materia di condanna del soccombente alla rifusione delle spese di lite”.

Il ricorso incidentale, nel suo insieme, verte essenzialmente sulla circostanza che il dispositivo di accertamento e la conseguente condanna al pagamento di somme di denaro, risultano "incrociati o reciproci" per entrambe le parti appellanti ed appellate, talchè finisce per rimettere ad un diverso processo ricostruttivo, stragiudiziale ed esterno al giudizio di merito ormai definito, l’individuazione del destinatario della condanna ovvero il beneficiario della prestazione in essa contenuta.

In particolare con il primo motivo si afferma che la sentenza impugnata si caratterizza per una anomalia del contenuto e della portata precettiva, sotto il profilo dalla violazione dell’art. 156 c.p.c., comma 2, e dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 5, che impone al Giudice di redigere il dispositivo della sentenza in maniera chiara e intelligibile alle parti in causa ed idoneo a consentire la concreta individuazione del comando giudiziale.

I rilievi sono fondati e trovano conferma nella giurisprudenza di questa Corte secondo la quale e’ viziata da nullita’ la sentenza il cui dispositivo non contenga una precisa determinazione del diritto che riconosce o del bene che tende a far conseguire, cosi’ da lasciare assoluta incertezza sul contenuto e sulla portata della decisione e quindi sul concreto comando giudiziale (Cass., 10 febbraio 2003, n. 1939).

Il tema del primo motivo e’ ulteriormente sviluppato nel secondo, che deve essere di conseguenza accolto, ove si afferma come la sentenza impugnata appaia ulteriormente censurabile sotto il profilo della omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione sull’eccezione di estinzione del debito contratto dalla ***** a titolo risarcitorio verso *****. A ragione si lamenta infatti che la Corte non conclude con un processo logico - consequenziale per la condanna effettiva dello ***** in quanto unico attuale debitore, ma contraddittoriamente per una condanna eventuale in favore della ricorrente incidentale se ed in quanto risultata creditrice, con cio’ manifestando un insanabile contrasto tra la motivazione ed il dispositivo della sentenza.

Con il terzo motivo la ***** nega che i pagamenti gia’ effettuati potessero qualificarsi come meri acconti imputabili al maggior credito residuo del ricorrente, ed afferma che al momento della decisione erano invece “ampiamente satisfattivi ed estintivi dell’intera obbligazione definitivamente accertata del secondo Giudice di merito” e costituivano quindi un “pagamento a saldo”.

- Con il quinto motivo, strettamente congiunto al terzo, si precisa che “l’errato utilizzo del criterio di calcolo complessivo del danno ha comportato anche la violazione o falsa applicazione degli articoli di cui all’epigrafe del motivo stesso ed in specie dell’art. 2056 c.c. e si sottolinea che questa Corte ha piu’ volte ribadito la necessita’ di utilizzo di termini di calcolo omogenei da effettuare con uno dei criteri alternativi indicati dalla giurisprudenza. Anche queste due censure sono fondate e trovano conferma in giurisprudenza secondo la quale, ove nelle more tra primo e secondo grado del giudizio risarcitorio per illecito aquiliano, il debitore adempia parzialmente la propria obbligazione, il giudice d’appello, al fine di stabilire l’eventuale debito residuo ed il suo ammontare, deve procedere alla comparazione fra valori resi omogenei in termini di valore reale secondo i seguenti procedimenti:

a) esprimere in moneta attuale tutti i valori, rivalutando dall’epoca del fatto la somma equivalente all’entita’ del danno e dall’epoca del versamento quella corrisposta in acconto;

b) ridurre l’acconto al minor valore che, in termini di espressione monetaria, avrebbe avuto all’epoca del fatto produttivo del danno, rivalutando poi la differenza tra le due somme da comparare;

c) rivalutare l’importo originariamente equivalente al danno sino all’epoca dell’acconto, raffrontare i valori a quella data e rivalutare la differenza da tale data all’attualità;

d) rapportare il valore monetario di acconto e danno ad una data intermedia e quindi effettuare il calcolo tra il dare e l’avere. (Cass., 3 settembre 2005, n. 17743).

Con il quarto motivo la ricorrente incidentale denuncia il contrasto dell’impugnata sentenza con il disposto degli artt. 1242 e 1243 c.c. non avendo il Giudice d’appello accertato l’intervenuta estinzione per compensazione giudiziale dei reciproci crediti, al momento della liquidazione espressa in sentenza, ormai simultaneamente liquidi ed esigibili.

In assenza di una pronuncia del Giudice d’Appello il motivo deve ritenersi fondato.

Con il sesto motivo la ricorrente denuncia la non correttezza del criterio indicato dal Giudice di secondo grado, secondo il quale ai sensi dell’art. 1194 c.c. il pagamento si imputa agli interessi e non al capitale.

La critica e’ fondata e trova conferma nella giurisprudenza di questa Corte secondo la quale l’art. 1194 c.c. (che prescrive di imputare i pagamenti parziali prima agli interessi, e quindi al capitale) e’ stato dettato con riferimento alle obbligazioni pecuniarie, mentre non trova applicazione in materia di risarcimento del danno derivante da atto illecito (Cass., 21 aprile 2006, n. 9356). Si afferma infatti che la disposizione dell’art. 1194 c.c., secondo cui senza il consenso del creditore il debitore non puo’ imputare il pagamento al capitale piuttosto che agli interessi od alle spese, presuppone la simultanea esistenza della liquidità e della esigibilità di ambedue i crediti, e cioè sia di quello per capitale che dell’altro, accessorio, per interessi o spese. In tema di risarcimento del danno derivante da atto illecito, invece, i versamenti di somme effettuati in favore del creditore prima della liquidazione (giudiziale o negoziale) non sono imputabili agli interessi ed agli accessori, non essendo applicabile il criterio previsto dal citato art. 1194 c.c. che presuppone, appunto, l’esistenza di un debito pecuniario da considerarsi invece, in questo caso, inesistente fino alla liquidazione. (Cass., 27 ottobre 2005, n. 20904; Cass., 16 aprile 2003, n. 6022).

Il settimo motivo denuncia “violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3 degli artt. 1224 e 2697 c.c. in materia di onere della prova del maggior danno subito per effetto del ritardo nel pagamento”.

Anche questo motivo deve essere accolto.

Osserva la ricorrente incidentale che la Corte d’appello di Brescia ha riconosciuto la debenza, sulla somma liquidata a titolo di danno biologico permanente, attualizzata ad Euro 242.925,00, di interessi compensativi "al tasso legale annuo".

La piu’ recente giurisprudenza delle SS.UU. ha affermato che nel caso di ritardato adempimento di una obbligazione di valuta, il maggior danno di cui all’art. 1224 c.c., comma 2, puo’ ritenersi esistente in via presuntiva in tutti i casi in cui, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi, sia stato superiore al saggio degli interessi legali (Cass., Sez. U, del 16.7.2008, n. 19499). Sempre secondo questa giurisprudenza, sul piano probatorio, se il creditore domanda, a titolo di risarcimento del maggior danno, una somma superiore a quella risultante dal suddetto saggio di rendimento dei titoli di Stato, dovra’ provare l’esistenza e l’ammontare di tale pregiudizio, anche per via presuntiva (Cass., Sez. U, del 16.7.2008, n. 19499) Nel caso di cui ci si occupa, invece, il ricorrente principale non ha fornito nessun elemento di prova a sostegno dell’ulteriore domanda proposta che viceversa ha trovato accoglimento sulla scorta di una presunzione "di rendita finanziaria mediamente traibile dal capitale investito nel corso degli anni in questione" rilevata d’ufficio dalla Corte e non provata dalla parte onerata.

8 Motivo: violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3 dell’art. 91 c.p.c. in materia di condanna del soccombente alla rifusione delle spese di lite.

L’ottavo ed ultimo motivo chiede infine che, nell’ipotesi di accoglimento del ricorso incidentale, la sentenza sia riformata dal Giudice di rinvio anche con riferimento all’integrale rifusione delle spese di lite.

Considerato l’accoglimento dei precedenti motivi anche quest’ultimo deve essere accolto.

In conclusione, per le ragioni che precedono, riuniti i ricorsi, deve essere accolto il quarto motivo del ricorso principale con rigetto degli altri. Deve essere accolto il ricorso incidentale con conseguente cassazione della sentenza e rinvio alla Corte d’appello di Brescia in diversa composizione che decidera’ anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE Riunisce i ricorsi. Accoglie il quarto motivo del ricorso principale e rigetta gli altri. Accoglie il ricorso incidentale. Cassa e rinvia alla Corte d’appello di Brescia in diversa composizione che decidera’ anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 4 marzo 2009.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2009