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La prova del danno patrimoniale del professionista (Cassazione 21062/09)

Materia: Circolazione stradale - Fonte: Cassazione - 21.12.2009
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Abstract: Attenzione all'onere probatorio.

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Fornire la prova del danno patrimoniale del professionista, nei due profili di danno emergente e lucro cessante, non è cosa facile.

 

Si corre il rischio che venga rigettata la domanda per mancata prova sul punto.

 

La sentenza in commento, infatti, più volte sottolinea il mancato assolvimento dell'onere della prova incombente sull'attore.

 

In particolare, per quel che concerne il profilo del danno emergente va ricordato che

 

la dichiarazione dei redditi è idonea a dimostrare il reddito e non certo le spese sostenute.

 

 

Parlando invece di lucro cessante,

 

il danno patrimoniale da invalidità permanente ed inabilità temporanea, conseguite ad un sinistro stradale, va liquidato, ai sensi della L. n. 39 del 1977, art. 4, sulla base delle risultanze delle dichiarazioni dei redditi presentate dal danneggiato nei tre anni precedenti il sinistro non della dichiarazione di un solo anno. E le risultanze di tali dichiarazioni fondano comunque una mera presunzione juris tantum sull'entità del reddito percepito dal danneggiato.

 

A tal proposito occorre osservare che il richiamato art. 4 della legge n.39/77 (o per meglio dire del d.l. 857/76 di cui la legge 39/77 costituisce conversione), il quale recita:

 

Nel caso di danno alle persone, quando agli effetti del risarcimento si debba considerare l'incidenza dell'inabilità temporanea o dell'invalidità permanente su un reddito di lavoro comunque qualificabile, tale reddito si determina per il lavoro dipendente sulla base del reddito di lavoro maggiorato dei redditi esenti e delle detrazioni di legge, e per il lavoro autonomo sulla base del reddito netto risultante più elevato tra quelli dichiarati dal danneggiato ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche degli ultimi tre anni ovvero, nei casi previsti dalla legge dall'apposita certificazione rilasciata dal datore di lavoro, ai sensi dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 .

È in ogni caso ammessa la prova contraria, ma quando dalla stessa risulti che il reddito sia notevolmente sproporzionato rispetto a quello risultante dagli atti indicati nel comma precedente, il giudice ne fa segnalazione al competente ufficio delle imposte dirette.

In tutti gli altri casi, il reddito che occorre considerare ai fini del risarcimento non può comunque essere inferiore a tre volte l'ammontare annuo della pensione sociale .

Le spese sostenute dagli ospedali o case di cura convenzionate con enti regionali per le prestazioni di cure mediche, per la somministrazione di medicinali e per il ricovero debbono essere rimborsate direttamente alle regioni, le quali possono stipulare con gli assicuratori e le imprese designate apposite convenzioni per la determinazione delle somme da rimborsare e delle modalità del rimborso.

I criteri di cui al primo ed al terzo comma sono applicati per il risarcimento dei danni causati dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti dopo l'entrata in vigore del presente decreto

 

è stato abrogato dall'art. 354,1° comma del d. lgs. 109/05, e bisogna ora fare riferimento invece all'art. 137 del predetto decreto (o codice delle assicurazioni), che rappresenta la trasposizione della vecchia norma nel nuovo codice. Per completezza, ecolo qui

 

1. Nel caso di danno alla persona, quando agli effetti del risarcimento si debba considerare l'incidenza dell'inabilità temporanea o dell'invalidità permanente su un reddito di lavoro comunque qualificabile, tale reddito si determina, per il lavoro dipendente, sulla base del reddito di lavoro, maggiorato dei redditi esenti e al lordo delle detrazioni e delle ritenute di legge, che risulta il più elevato tra quelli degli ultimi tre anni e, per il lavoro autonomo, sulla base del reddito netto che risulta il più elevato tra quelli dichiarati dal danneggiato ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche negli ultimi tre anni ovvero, nei casi previsti dalla legge, dall'apposita certificazione rilasciata dal datore di lavoro ai sensi delle norme di legge.

2. È in ogni caso ammessa la prova contraria, ma, quando dalla stessa risulti che il reddito sia superiore di oltre un quinto rispetto a quello risultante dagli atti indicati nel comma 1, il giudice ne fa segnalazione al competente ufficio dell'Agenzia delle entrate.

3. In tutti gli altri casi il reddito che occorre considerare ai fini del risarcimento non può essere inferiore a tre volte l'ammontare annuo della pensione sociale.

 

 

Renato Savoia

 

* * *

 

 

Cass. civ. Sez. III, 01-10-2009, n. 21062

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario - Presidente

Dott. FEDERICO Giovanni - Consigliere

Dott. TALEVI Alberto - Consigliere

Dott. CHIARINI Maria Margherita - Consigliere

Dott. D'AMICO Paolo - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 15388/2005 proposto da:

*****, elettivamente domiciliato in ROMA, ******, presso lo studio dell'avvocato *****, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato ***** giusta mandati a margine del ricorso; - ricorrente -

contro

***** ASSICURAZIONI SPA, in persona dei legali rappresentanti ***** e ***** elettivamente domiciliato in ROMA, *****, presso lo studio dell'avvocato *****, che lo rappresenta e difende giusta procura in calce al controricorso; - controricorrente -

e contro

*****; - intimati -

avverso la sentenza n. 714/2004 della CORTE D'APPELLO di VENEZIA, Sezione 4^ Civile, emessa il 19/11/2003; depositata il 27/04/2004; R.G.N. 2667/1999;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/06/2009 dal Consigliere Dott. D'AMICO PAOLO;

udito l'Avvocato *****;

udito l'Avvocato *****;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE NUNZIO Wladimiro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

***** conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Treviso ***** e la ***** s.p.a. per sentirli condannare in solido al pagamento di tutti i danni derivatigli da un sinistro stradale che riteneva imputabile al medesimo *****.

I convenuti, costituendosi, non contestavano la responsabilità, ma chiedevano la liquidazione dei danni secondo giustizia.

Con sentenza n. 1852 del 22.10.1998 il Tribunale, sulla base di criteri equitativi, stimava il danno in complessive L. 71.320.000 e condannava in solido i convenuti al pagamento, oltre agli acconti già versati, della somma residua di L. 4.313.000 più accessori.

Avverso tale decisione proponeva appello ***** chiedendo la condanna solidale di ***** e della ***** al pagamento della somma di L. 170.547.466 o di altra minore ritenuta di giustizia.

Si costituiva la ***** s.p.a. contestando il fondamento dell'appello e chiedendone il rigetto.

La Corte d'Appello di Venezia rigettava l'appello e confermava l'impugnata sentenza, condannando l'appellante alla rifusione delle spese processuali in favore dell'appellata.

Proponeva ricorso per cassazione *****.

Resisteva la *****.

Motivi della decisione

Con il primo motivo parte ricorrente denuncia "Violazione e falsa applicazione di norme di diritto Erronea, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (artt. 1223 e 2697 c.c. artt. 113, 115, 116 e 244 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5).

Sostiene parte ricorrente che la maggiore contestazione alla sentenza del Tribunale di Treviso si riferiva alla eccessiva limitazione del risarcimento del danno emergente (ed in parte del lucro cessante) subito dal professionista per effetto della sua forzata assenza dallo studio a causa del sinistro. L'appellante aveva, cioè, segnalato una palese "svista valutativa" del Tribunale, nella quantificazione delle spese vive per la mantenuta apertura dello studio legale durante i periodo di forzata assenza. La Corte d'Appello, invece, aveva fatto prevalente riferimento alle c.d. "micropermanenti", che nulla avevano a che fare con il nocciolo dell'appello, costituito dalla quantificazione del danno emergente.

Date queste premesse, prosegue parte ricorrente, il ragionamento adottato dalla Corte che rigettava il motivo di appello, ancorando la sua decisione all'istituto della c.d. "micro - permanente", era risultato del tutto inspiegabile.

Il motivo è infondato.

Non si può affermare infatti che la Corte abbia applicato "un parametro del tutto inconferente quale risultava (...) quel lo della micro permanente"; piuttosto, essa ha accertato, per quanto riguarda il danno emergente, che "l'appellante non ha (...) offerto alcun elemento concreto idoneo a corroborare il pagamento a vuoto delle spese correlate all'esercizio della professione" e quindi il mancato adempimento dell'onere probatorio da parte del soggetto che vi era tenuto. Tale accertamento, del resto, è un accertamento di merito, sottratto alla valutazione di questa Corte in quanto congruamente motivato.

Con il secondo motivo si denuncia "Violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo, di norme di diritto - Erronea, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, sotto altro profilo, su un punto decisivo della controversia - Erronea esclusione della prova testimoniale dedotta - (D.L. n. 857 del 1976, art. 4, conv. in L. 26 febbraio 1977, n 39 - artt. 1223, 2727, 2729 e 2697 c.c., artt. 113, 115, 116 e 244 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5).

Parte ricorrente ritiene erroneo il ragionamento del collegio laddove ha omesso di attribuire efficacia probatoria della dichiarazione dei redditi in relazione a tutti i dati dalla stessa emergenti.

Tale documento, secondo *****, doveva invece essere ritenuto idoneo, per espressa previsione legislativa, ad apportare al processo dati da considerarsi "veridici e comprovati fino a prova contraria"; e ciò anche ai sensi del D.L. n. 857 del 1976, art. 4, convertito in L. 26 febbraio 1977, n. 39.

In sintesi, secondo il ricorrente, erano molti gli elementi che il Collegio d'appello avrebbe dovuto trarre dalla produzione documentale, proprio in quanto finalizzati, per espressa previsione di legge, a determinare il risarcimento conseguente ad invalidità temporanea. Idonea a documentare le spese sostenute nel corso dell'annualità reddituale di riferimento risultava in particolare la dichiarazione dei redditi prodotta agli atti dalla difesa di *****.

La censura dev'essere rigettata.

In primo luogo infatti si deve considerare che la dichiarazione dei redditi è idonea a dimostrare il reddito e non certo le spese sostenute.

In secondo luogo la dichiarazione prodotta dal ***** risultava inidonea a documentare il reddito dal quale trarre la diminuzione di guadagno netto in quanto il danno patrimoniale da invalidità permanente ed inabilità temporanea, conseguite ad un sinistro stradale, va liquidato, ai sensi della L. n. 39 del 1977, art. 4, sulla base delle risultanze delle dichiarazioni dei redditi presentate dal danneggiato nei tre anni precedenti il sinistro non della dichiarazione di un solo anno. E le risultanze di tali dichiarazioni fondano comunque una mera presunzione juris tantum sull'entità del reddito percepito dal danneggiato (Cass. 19 dicembre 1996, n. 11368).

Anche le successive argomentazioni addotte dalla Corte in tema di causalità e di ammissibilità dei capitoli istruttori risultano, secondo parte ricorrente, erronee ed illogiche.

Ritiene infatti ***** che avendo la Corte veneziana ritenuto valide le conclusioni della CTU, mai avrebbe potuto ritenere non presente agli atti la prova relativa al nesso causale tra la documentata assenza e la documentata contrazione dei guadagno.

Parte ricorrente censura infine l'esclusione delle circostanze di prova orale che risultano a suo avviso capitolate in osservanza dei requisiti di specificità e determinatezza necessari e sufficienti per apportare al processo ogni elemento che il ***** aveva offerto.

Anche questi ultime censure meritano rigetto.

Secondo questa Corte infatti qualora il ricorrente, in sede di legittimità, denunci l'omessa valutazione di prove documentali, per il principio di autosufficienza ha l'onere non solo di trascrivere il testo integrale, o la parte significativa del documento nel ricorso per cassazione, al fine di consentire il vaglio di decisività, ma anche di specificare gli argomenti, deduzioni o istanze che, in relazione alla pretesa fatta valere, siano state formulate nel giudizio di merito, pena l'irrilevanza giuridica della sola produzione che non assicura il contraddittorio e non comporta quindi, per il giudice alcun onere di esame; e ancora meno di considerazione dei documenti stessi ai fini della decisione (Cass. 25 agosto 2006, n. 18506; Cass. 25 agosto 2006, n. 18498). E si deve altresì rilevare che il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prove che ritenga più attendibili ed idonee alla formazione dello stesso, essendo sufficiente, ai fini della congruità della motivazione del relativo apprezzamento, che da quest'ultima risulti come il convincimento nell'accertamento dei fatti si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi probatori acquisiti al giudizio, considerati nel loro complesso (Cass. 20 febbraio 2006, n. 3601) Con il terzo ed ultimo motivo si denuncia infine "Violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo, di norme di diritto - Erronea, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, sotto altro profilo, su un punto decisivo della controversia (artt. 1223, 2727, 2729 e 2697 c.c., artt. 113, 115, 116 e 244 c.p.c., in relazione agli artt. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5)".

Sostiene parte ricorrente che, anche sotto questo profilo, la sentenza va decisamente censurata. In primo luogo perchè la Corte ha confermato la pronuncia del Tribunale dando così per presupposte alla sua decisione le risultanze della CTU che aveva individuato un periodo di invalidità totale e parziale subite dal professionista;

in secondo luogo, perchè sia nel procedimento di primo grado che nel procedimento di appello era stata offerta la prova dell'assenza dal lavoro e di ogni altro apporto del professionista alla attività durante il periodo di invalidità.

Sottolinea infine parte ricorrente che risulta manifestamente sovvertita la regola dell'onere della prova, posto che, una volta dimostrata l'invalidità totale del professionista, stava semmai a controparte fornire al prova del fatto che la struttura in cui egli operava risultava, comunque, produttiva di reddito nel periodo di assenza forzata.

Anche quest'ultimo motivo è infondato.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte infatti l'invalidità permanente (totale o parziale), mentre di per sè concorre a dar luogo a danno biologico, non comporta necessariamente anche un danno patrimoniale, a tal fine occorrendo che il giudice, oltre ad accertare in quale misura la menomazione fisica abbia inciso sulla capacità di svolgimento dell'attività lavorativa specifica e questa, a sua volta, sulla capacità di guadagno, accerti se ed in quale misura in tale soggetto persista o residui, dopo e nonostante l'infortunio subito, una capacità ad attendere ad altri lavori, confacente alle sue attitudini e condizioni personali ed ambientali, ed altrimenti idonei alla produzione di altre fonti di reddito, in luogo di quelle perse o ridotte. Solo se dall'esame di detti elementi risulti una riduzione della capacità di guadagno e del reddito effettivamente percepito, questo è risarcibile sotto il profilo del lucro cessante. La relativa prova incombe a danneggiato e può essere anche presuntiva, purchè sia certa la riduzione della capacità di lavoro specifica (Cass. 23 gennaio 2006, n. 1230; Cass. 20.10. 2005, n. 20321).

Alla luce di tale giurisprudenza deve dunque ritenersi che il giudice di merito ha correttamente applicato la disciplina dell'onere della prova in quanto l'attore è tenuto a dimostrare il fatto costitutivo della domanda e quindi gli elementi che legittimano la sua pretesa mentre incombe al convenuto, ove eccepisca l'inefficacia dei fati dedotti a fondamento della sua domanda ovvero la modificazione o l'estinzione del diritto di provare i fatti su cui si basa la sua eccezione.

In questo processo incombeva all'attuale ricorrente l'onere di provare che la fattispecie concreta era riconducibile a quella astratta prevista dalla legge. E la Corte d'Appello ha fatto corretta applicazione di tale principio.

In conclusione, tutto le ragioni che precedono inducono a rigettare il ricorso.

Parte ricorrente deve essere condannata alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte:

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 5.000,00, per onorari oltre rimborso forfetario delle spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 9 giugno 2009.