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Uno 'svarione' della Corte di Cassazione sul principio di non contestazione? (Cassazione 10285/10)

Materia: Sentenze - Fonte: Cassazione - 01.06.2010
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Abstract: Si son dimenticati del nuovo art. 115 c.p.c.? E della sentenza SS.UU. 761/02?

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Si fa fatica, onestamente, ad inquadrare questa sentenza della Corte di Cassazione.

 

Prendendo in mano il codice di procedura civile, all'art.115 (novellato con la legge 69/09, ricordiamolo) leggiamo:

 

Salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita.

Il giudice può tuttavia, senza bisogno di prova, porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza.

 

Certo, la riforma del 2009 si applica solo ai giudizi iniziati dopo la data, fatidica, del 4 luglio 2009.

 

Ma come dimenticare l'intervento sempre della Cassazione, e per di più a Sezioni Unite, in tema di principio di non contestazione con la sentenza n. 761/02?

 

Gli artt. 167, primo comma e 416, terzo comma, imponendo al convenuto l’onere di prendere posizione su tali fatti, fanno della non contestazione un comportamento univocamente rilevante ai fini della determinazione dell’oggetto del giudizio, con effetti vincolanti per il giudice, che dovrà astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato e dovrà ritenerlo sussistente, proprio per la ragione che l’atteggiamento difensivo delle parti, valutato alla stregua dell’esposta regola di condotta processuale, espunge il fatto stesso dall’ambito degli accertamenti richiesti.
In altri termini, la mancata contestazione, a fronte di un onere esplicitamente imposto dal dettato legislativo, rappresenta, in positivo e di per sè, l’adozione di una linea difensiva incompatibile con la negazione del fatto (onde, nell’ambito di operatività di un onere siffatto si rende sostanzialmente inavvertibile, ai fini dell’identificazione dei fatti “pacifici”, la tradizionale differenza – per la quale cfr. da ultima, Cass. 18 luglio 2000, n. 9424 e, fra le altre, Cass. 23 maggio 1995, n. 5643;Id., 2 giugno 1994, n. 5359; Id., 20 maggio 1993, n. 5733; Id., 5 dicembre 1992, n.12947; Id. 6 marzo 1987, n..2386 – fra ammissione implicita e non contestazione) e, quindi, rende inutile provarlo, perché non controverso, come è già stato posto in lince da altro orientamento espresso dalla Corte sul punto, con sentenza 2 marzo 1995, n. 2415.

 

Lo ripeto, in primis a me stesso: già nel 2002 (e quindi ben prima della riforma  del 2009) la Corte di Cassazione si è espressa in questi termini.

 

Che ora, a distanza di otto anni, e dopo la modifica dell'articolo 115 d.p.c. nel senso che sopra si è visto, si dica  che

 

affinchè un fatto allegato da una parte possa considerarsi pacifico sì da essere posto a base della decisione, ancorchè non provato, non è sufficiente la mancata contestazione, non sussistendo nel nostro ordinamento processuale un principio che vincoli alla contestazione specifica di ogni situazione di fatto dichiarata dalla controparte,

 

e ribadendo poche righe più sotto che

non sussistendo per la parte un onere di contestazione specifica di ogni fatto dedotto ex adverso, la mera mancata contestazione in quanto tale non può avere automaticamente l'effetto di prova

 

non può che lasciare, o quantomeno lascia nello scrivente, un senso di fastidiosa incertezza.

 

Renato Savoia

 

(sia ben chiaro: se sono io, che non ho capito la sentenza, sarò ben lieto di ricevere delucidazioni da chi l'abbia diversamente interpretata e avrà la cortesia di illuminarmi. Sia detto senza ironia)

 

* * *

 

 

Cass. civ. Sez. II, 29-04-2010, n. 10285

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele - Presidente

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio - rel. Consigliere

Dott. BURSESE Gaetano Antonio - Consigliere

Dott. MAZZACANE Vincenzo - Consigliere

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

*****, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore *****, elettivamente domiciliato in ROMA, *****, presso lo studio dell'avvocato *****, rappresentato e difeso dagli avvocati *****, *****; - ricorrente -

contro

*****, elettivamente domiciliata in ROMA, *****, presso lo studio dell'avvocato *****, rappresentata e difesa dall'avvocato *****;- controricorrente -

avverso la sentenza n. 377/2004 della CORTE D'APPELLO di CAGLIARI, depositata il 20/10/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/03/2010 dal Consigliere Dott. LUCIO MAZZIOTTI DI GELSO;

udito l'Avvocato *****, con delega depositata in udienza dell'Avvocato ***** difensore del ricorrente che ha chiesto accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FEDELI Massimo, che ha concluso per l'accoglimento per quanto di ragione del primo motivo di ricorso.

Svolgimento del processo

***** conveniva in giudizio la s.p.a. ****** deducendo che il 21/11/1996 aveva sottoscritto una proposta di acquisto di una macchina riproduttiva di carte fotografiche, di volantini personali e di due insegne luminose - per il prezzo di L. 53.550.000 - con versamento di L. 10.710.000 a titolo di acconto. Successivamente la ***** aveva accettato la proposta garantendo che la macchina era stata utilizzata solo a fini dimostrativi e che sarebbe stata installata contestualmente alla consegna. Assumeva l'attrice: che in data 22/2/1997 aveva saputo che la macchina era stata già di proprietà della società ***** di ***** & C. la quale l'aveva utilizzata a pieno regime nel proprio laboratorio fotografico; che la ***** non aveva inviato il proprio tecnico per l'installazione; che le due insegne luminose e i volantini non erano stati consegnati. Sussisteva quindi un inadempimento della convenuta che aveva causato ad essa attrice vari danni di cui chiedeva il risarcimento previa risoluzione del contratto per grave inadempimento della convenuta (mancanza delle qualità promesse, mancata installazione della macchina, mancata consegna dei volantini e delle insegne luminose).

La convenuta, costituitasi, chiedeva il rigetto della domanda deducendo che nella specie si trattava di una apparecchiatura usata - tanto che la bolla di consegna della macchina era intestata alla ***** - e che prima del 22/1/1997 per ben tre volte la ***** aveva bloccato gli installatori affermando di non volere al momento procedere alla installazione della apparecchiatura. In via riconvenzionale la società ***** chiedeva la condanna della ***** a pagarle il residuo prezzo oltre accessori.

La causa, istruita con interrogatorio formale delle parti, prova per testi, e produzioni documentali, veniva decisa dall'adito tribunale di Cagliari con sentenza 25/11/2002 con la quale venivano rigettate le domande della ***** e, in accoglimento della riconvenzionale, l'attrice veniva condannata a pagare alla ***** Euro 17.709,31 oltre accessori.

Ad avviso del tribunale la installazione della macchina era stata rifiutata dalla *****, mentre volantini e insegne a lei inviati erano stati respinti. Quanto al fatto che la macchina fosse stata usata dalla società *****, secondo il tribunale non erano state dimostrate le modalità di utilizzo del macchinario da parte di detta società. In ogni caso, pur supponendo la consegna di un bene non avente le qualità promesse, ai sensi degli artt. 1497 e 1455 c.c., non si poteva pronunciare la risoluzione dovendo ritenersi l'inadempimento della venditrice di scarsa importanza rispetto all'interesse dell'acquirente.

Avverso la detta sentenza la ***** proponeva appello al quale resisteva la s.p.a. *****.

Con sentenza 20/10/2004 la corte di appello di Cagliari, in riforma dell'impugnata decisione, dichiarava risolto il contratto di compravendita stipulato dalle parti e condannava la s.p.a. ***** a restituire alla L. Euro 5.526,09 e a risarcire il danno subito da quest'ultima da liquidare in separato giudizio. La corte di appello osservava: che era assorbente, ai fini della valutazione dell'inadempimento della venditrice, la circostanza relativa alla consegna di una macchina riproduttiva di carte fotografiche diversa da quella promessa; che era pacifico in causa "che la macchina dovesse essere stata usata solo a fini dimostrativi nelle fiere"; che il legale rappresentante della *****, rispondendo all'interrogatorio, aveva confermato che, come precisato nell'ordine di acquisto, la macchina era stata già utilizzata a fini dimostrativi e che la installazione era stata prevista alla consegna;

che quindi la ***** avrebbe dovuto utilizzare la macchina per prima come proprietaria; che invece la macchina era già stata acquistata dalla società *****; che, come ben poteva desumersi da tali presupposti, anche secondo il notorio, l'uso a fini dimostrativi in occasione di fiere andava ritenuto molto meno intenso di quello presso un laboratorio fotografico; che la venditrice si era ben guardata dal riferire quando la macchina era stata acquistata dalla *****; che, come chiarito dalla *****, il prezzo pattuito era congruo in considerazione dell'uso che ne era stato fatto per dimostrazione durante le fiere per non più di 4/5 settimane; che la ***** si era limitata a dire che si era trattato di vendita di usato e di "non nuovo"; che non era assimilabile la vendita di una macchina usata con quella di una macchina non nuova perchè usata solo a fini dimostrativi; che la stessa ***** nel febbraio 1997 aveva ribadito che la macchina era stata usata solo a fini dimostrativi il che induceva a ritenere confermato che la ***** si era determinata all'acquisto trattandosi in sostanza di una macchina "quasi nuova";

che la macchina, quindi, non aveva le qualità promesse potendosi presumere uno stato di usura superiore a quello della macchina oggetto dell'accordo; che, mancando la macchina venduta delle qualità promesse, si poteva dichiarare la risoluzione del contratto con la condanna della venditrice a restituire alla ***** l'acconto ricevuto e a risarcire i danni da liquidare in separata sede; che, in ogni caso, doveva ritenersi grave l'inadempimento della ***** atteso che la mancata regolare realizzazione del sinallagma contrattuale era dipesa dal suo comportamento; infatti, se avesse consegnato una macchina "ex demo" come promesso e avesse provveduto immediatamente al montaggio della stessa al momento della consegna, il contratto avrebbe avuto regolare esecuzione.

La cassazione della sentenza della corte di appello di Cagliari è stata chiesta dalla s.p.a. ***** con ricorso affidato a sei motivi.

***** ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

Innanzitutto va rilevato che la resistente ***** ha eccepito in via preliminare che "la sottoscrizione della procura speciale apposta in calce al ricorso notificato non ha alcuna rispondenza con il nome ***** indicato come rappresentante legale dell'***** nell'intestazione del ricorso per cassazione".

L'eccezione è manifestamente infondata atteso che il ricorso è stato proposto - come precisato nell'intestazione dell'atto - "nell'interesse della ***** SPA in persona del suo presidente Sig. *****" con gli avvocati ***** e ***** di Milano. La firma in calce al ricorso è stata apposta per la società ricorrente ed autenticata dagli avvocati ***** e ***** i quali hanno quindi accertato la corrispondenza - in considerazione anche dello stretto rapporto esistente tra la procura e l'atto - tra il soggetto indicato nell'atto come legale rappresentante della società ricorrente e il soggetto che ha firmato la procura. La certificazione, da parte del difensore, dell'autografia della firma apposta sulla procura "ad litem" ha appunto la funzione di identificare la persona fisica cui appartiene la firma stessa. Va peraltro aggiunto che, come questa Corte ha avuto modo di affermare, la procura speciale alle liti ex art. 83 cod. proc. civ., comma 3, (anche se, come nella specie, conferita in primo grado pure per il giudizio di appello), ove sottoscritta con firma illeggibile è nulla solo quando dall'intestazione o dal contesto dell'atto o dalla procura stessa non emerga il nome del mandante, in quanto, se questa indicazione emerge - come appunto nella specie - l'atto è comunque idoneo a realizzare il suo scopo tipico, che è quello di fornire alla controparte la certezza giuridica della riferibilità dell'attività svolta dal difensore al sottoscrittore, in proprio o quale rappresentante di un ente (sentenza 19/8/2004 n. 16264).

Con il primo motivo di ricorso la s.p.a. ***** denuncia violazione dell'art. 115 c.p.c. e art. 2697 c.c., deducendo che la corte di appello ha posto a fondamento della decisione impugnata due circostanze di fatto che non corrispondono a verità e non provate.

In particolare la corte di appello ha affermato che: a) è pacifico in causa che la macchina dovesse essere stata usata solo a fini dimostrativi durante le fiere; b) è invece altrettanto pacifico che la macchina fosse stata già usata dalla società ***** titolare di un laboratorio fotografico. Quanto alla prima circostanza nessuno aveva mai garantito - nè risulta dall'ordinativo o dai testi - che l'apparecchiatura fosse stata usata a fini dimostrativi "nelle fiere". Quanto alla seconda, nessuno aveva mai affermato che l'apparecchiatura, prima della vendita alla *****, fosse stata acquistata dalla *****. Nella realtà l'apparecchiatura è rimasta giacente per poche settimane presso la ***** per scopi dimostrativi senza essere venduta.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 2697, 2727 e 1497 c.c., sostenendo che, come è noto, le presunzioni sono le conseguenze che il giudice trae da un fatto noto per risalire ad un fatto ignorato ed il fatto che l'apparecchiatura provenisse dalla ***** non autorizzava la corte di appello a presumere che l'oggetto della vendita non fosse stato utilizzato per fini dimostrativi e che fosse stato sottoposto ad una usura superiore a quella determinata da fini dimostrativi. Peraltro la ***** aveva l'obbligo di provare che l'apparecchiatura non aveva le qualità promesse o quelle essenziali all'uso cui era destinata. La ***** non solo non ha provato l'esistenza di vizi o difetti, ma non ha neppure dedotto al riguardo mezzi di prova.

Entrambi i motivi, da esaminare congiuntamente per l'intima connessione che li avvince, sono fondati nei sensi e nei limiti di seguito precisati.

Dalla attenta e corretta lettura della sentenza impugnata emerge in modo palese che l'esame condotto dalla corte di merito è stato frettoloso e incompleto.

Le censure mosse da parte ricorrente nei motivi in esame colgono nel segno con riferimento tanto alla ravvisata sussistenza da parte della corte di appello di circostanze pacifiche, quanto al ricorso alla prova presuntiva ed al fatto notorio.

In relazione al primo aspetto va osservato che, come questa Corte ha avuto modo di affermare, affinchè un fatto allegato da una parte possa considerarsi pacifico sì da essere posto a base della decisione, ancorchè non provato, non è sufficiente la mancata contestazione, non sussistendo nel nostro ordinamento processuale un principio che vincoli alla contestazione specifica di ogni situazione di fatto dichiarata dalla controparte, occorrendo invece che esso sia esplicitamente ammesso dalla controparte, ovvero che questa pur non contestandolo in modo specifico, abbia impostato il proprio sistema difensivo su circostanze o argomentazioni logicamente incompatibili con il suo disconoscimento (sentenza 27/5/2009 n. 12214). Peraltro, non sussistendo per la parte un onere di contestazione specifica di ogni fatto dedotto ex adverso, la mera mancata contestazione in quanto tale non può avere automaticamente l'effetto di prova (sentenza 16/6/2006 n. 13958). Inoltre i fatti allegati da una delle parti vanno considerati "pacifici" - e quindi possono essere posti a fondamento della decisione - quando siano stati esplicitamente ammessi dalla controparte oppure quando questa pur non avendoli espressamente contestati abbia tuttavia assunto una posizione difensiva assolutamente incompatibile con la loro negazione, così implicitamente ammettendone l'esistenza (sentenza 14/3/2996 n. 5488).

Nella specie la corte di appello nella sentenza impugnata ha testualmente affermato (alla pagina 8) che "E' pacifico in causa che la macchina dovesse essere usata solo a fini dimostrativi nelle fiere".

A sostegno di tale affermazione il giudice di secondo grado ha fatto solo ed esclusivo riferimento alle dichiarazioni rese dal legale rappresentante della ***** il quale - come riportato nella stessa sentenza impugnata - si è limitato a riferire che nell'ordine di acquisto era stato chiarito "che la macchina era già stata utilizzata a fini dimostrativi" senza alcun accenno ad detto utilizzo "nelle fiere", circostanza certamente di notevole importanza ai fini della diversa intensità dell'uso a fini dimostrativi in occasione di fiere o presso un laboratorio fotografico.

Del pari non sorretta da adeguata e corretta motivazione è l'altra affermazione della corte di appello relativa alla asserita circostanza pacifica dell'acquisto della macchina dalla società ***** - titolare di un laboratorio fotografico - prima dell'acquisto da parte della *****. Nella sentenza impugnata non si precisa in base a quali elementi probatori acquisiti è stato ritenuto pacifico l'acquisto della macchina da parte della *****.

Anche l'uso della presunzione deve ritenersi improprio: la sentenza non indica argomenti plurimi e concordanti idonei a confermare l'inferenza presuntiva tratta - "anche secondo il notorio" - in ordine sia alla diversa intensità dell'uso della macchina in questione per fini dimostrativi o presso un laboratorio, sia alla maggiore usura della macchina consegnata alla ***** rispetto a quella "ipotizzatole" di una macchina "ex demo". In proposito la corte di merito ha fatto un generico e poco convincente riferimento al comportamento della venditrice ed a quanto chiarito dalla ***** circa il prezzo pattuito (neanche precisato).

La sentenza non indica argomenti plurimi e concordanti idonei a confermare l'inferenza presuntiva tratta dalla sproporzione tra prezzo e valore e non si fa carico neanche degli obblighi di motivazione essenziali tenuto conto della circostanza relativa alla vendita di una macchina comunque non nuova.

Vi è stata quindi erronea applicazione del meccanismo che governa l'uso delle presunzioni, viziato in origine dalla omessa individuazione della plurimità degli indizi e conseguentemente dalla mancata ricerca della loro concordanza, nonchè della precisione, gravità e unidirezionalità degli altri elementi eventualmente disponibili. Ciò consente il controllo in sede di legittimità sulla congruità della motivazione, dovendosi verificare se le argomentazioni giustificative del convincimento espresso dal Giudice di merito siano affette da incoerenza logica e da vizi giuridici o da omissioni vertenti su elementi decisivi che abbiano formato oggetto di rituali deduzioni.

Infine va evidenziato che - come chiarito nella giurisprudenza di legittimità - l'utilizzazione delle nozioni di comune esperienza (fatto notorio), comportando una deroga al principio dispositivo e al contraddittorio, in quanto introduce nel processo civile prove non fornite dalle parti e relative a fatti dalle stesse non vagliati nè controllati, va inteso in senso rigoroso, id est come fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabile e incontestabile. Non si possono - quindi - reputare rientranti nella nozione di fatti di comune esperienza, intesa quale esperienza di un individuo medio in un dato tempo e in un dato luogo, quegli elementi valutativi che implicano cognizioni particolari, o anche solo la pratica di determinate situazioni, nè quelle nozioni che rientrano nella scienza privata del giudice, poichè questa, in quanto non universale, non rientra nella categoria del notorio, neppure quando derivi al giudice medesimo dalla pregressa trattazione di analoghe controversie (sentenza 18/12/2008 n. 29728).

Nella specie il riferito principio non appare rispettato dalla corte di appello nel richiamare "il notorio" a rafforzamento del ricorso alla presunzione come mezzo di prova.

Con il terzo motivo la società Onceas denuncia violazione dell'art. 1455 c.c., deducendo che la corte di appello ha disatteso il principio di diritto secondo cui il contratto non si può risolvere se l'inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza avuto riguardo all'interesse dell'altra. Nella specie si è in presenza di una compravendita nella quale l'acquirente acquista a metà prezzo una apparecchiatura seminuova perfettamente funzionante e con una garanzia da parte della venditrice di sei mesi. L'interesse dell'acquirente - conscia di acquistare a metà prezzo una apparecchiatura seminuova e funzionante - è quello di avere i vantaggi di una macchina nuova pagando la metà del prezzo di mercato. E' evidente che la ipotetica inadempienza di essa ***** costituisce un episodio marginale rispetto alla aspettative della ***** la quale non poteva attendersi una machina nuova. Di qui la scarsa importanza dell'ipotetico inadempimento di essa società ricorrente rispetto all'interesse della *****.

Con il quinto motivo la ricorrente denuncia vizi di motivazione sostenendo che la corte di appello ha ritenuto che l'inadempimento di essa ***** giustificativo della risoluzione fosse desumibile non solo dall'aver fornito un apparecchio privo delle qualità promesse, ma di non aver neppure provveduto al montaggio. Sul punto il tribunale aveva escluso l'inadempimento di essa ***** rilevando che le offerte più volte avanzate da essa società - convalidate da un riscontro documentale - fossero state respinte dalla ***** che non aveva autorizzato l'intervento dei tecnici per il montaggio. La corte di appello avrebbe potuto andare di diverso avviso rispetto al tribunale, ma aveva l'obbligo di criticare i motivi che avevano indotto il tribunale ad una diversa valutazione e di esporre le ragioni del proprio convincimento. Nulla di tutto ciò emerge dal testo della impugnata sentenza.

La Corte rileva la fondatezza delle dette censure che possono essere esaminate in via congiunta riguardando tutte (sia pur sotto profili ed aspetti diversi) la parte della sentenza impugnata con la quale la corte di appello - dopo aver affermato che la macchina consegnata dall'alienante ***** all'acquirente ***** mancava delle qualità promesse - ha accolto il gravame proposto dalla ***** ravvisando nel comportamento della ***** un inadempimento tale da poter dichiarare la risoluzione del contratto di compravendita stipulato dalle parti. La corte di merito ha poi aggiunto che "in ogni caso" doveva essere ritenuto "grave il complessivo inadempimento della *****" il cui comportamento aveva determinato "la mancata realizzazione del sinallagma contrattuale".

Ciò posto va evidenziato che secondo i principi pacifici nella giurisprudenza di legittimità, in tema di compravendita il vizio redibitorio (art, 1490 c.c.) e la mancanza di qualità promesse o essenziali (art. 1497 c.c.) pur presupponendo entrambi l'appartenenza della cosa al genere pattuito, si differenziano in quanto il primo riguarda le imperfezioni ed i difetti inerenti al processo di produzione, fabbricazione, formazione e conservazione della cosa medesima, mentre la seconda è inerente alla natura della merce e concerne tutti quegli elementi essenziali e sostanziali che, nell'ambito del medesimo genere, influiscono sulla classificazione della cosa in una specie, piuttosto che in un'altra. Vizi redibitori e mancanza di qualità si distinguono, a loro volta, dall'ipotesi della consegna aliud pro alio, la quale ricorre quando la cosa venduta appartenga ad un genere del tutto diverso, o presenti difetti che le impediscono di assolvere alla sua funzione naturale o a quella concreta assunta come essenziale dalle parti (cd. inidoneità ad assolvere la funzione economico - sociale), facendola degradare in una sottospecie del tutto diversa da quella dedotta in contratto.

Nel caso in esame dalla lettura e dalla interpretazione della sentenza impugnata può ritenersi che la corte di appello - pur se non espressamente chiarito nella detta sentenza - abbia inteso far riferimento alla fattispecie disciplinata dall'art. 1497 c.c., avendo affermato che la macchina venduta non aveva le qualità promesse.

Il giudice di secondo grado non ha però considerato che a differenza della garanzia per vizi - che ha la finalità di assicurare l'equilibrio contrattuale in attuazione del sinallagma funzionale indipendentemente dalla colpa del venditore - l'azione di cui all'art. 1497 c.c., rientrando in quella disciplinata in via generale dall'art. 1453 c.c., postula che l'inadempimento posto a base della domanda di risoluzione e/o di risarcimento del danno non solo sia imputabile a colpa dell'alienante, ma abbia non scarsa importanza, tenuto conto dell'interesse della parte non inadempiente; inoltre, poichè nell'ipotesi di mancanza delle qualità pattuite o promesse assume rilievo decisivo il ruolo della volontà negoziale, l'indagine che il giudice deve compiere ha necessariamente ad oggetto un elemento fattuale diverso ed estraneo rispetto alla fattispecie relativa alla presenza di un vizio o difetto che rendono la cosa venduta inidonea all'uso al quale la stessa è "normalmente" destinata. Le dette indagini non risulta che siano state esperite dalla corte di appello la quale è pervenuta a conclusioni diverse da quella raggiunte dal primo giudice - il quale aveva escluso l'inadempimento della venditrice ed aveva comunque affermato che, pur a voler ritenere l'avvenuta consegna di un bene avente qualità diverse da quelle promesse, tale circostanza era di "scarsa importanza rispetto all'interesse dell'acquirente" - omettendo di fornire adeguata e coerente motivazione onde poter ravvisare nel difetto di qualità della macchina il requisito della non scarsa importanza richiesto dall'art. 1497 c.c., in virtù del richiamo operato alle disposizioni generali sulla risoluzione del contratto.

La corte di merito, al riguardo, non ha fatto alcun cenno al prezzo della machina nuova comparandolo con il prezzo concordato tra le parti in considerazione del preventivo uso di detta macchina e della previsione di garanzia da parte dell'alienante.

Va aggiunto che mentre il tribunale - come precisato nella parte narrativa della stessa sentenza impugnata - aveva affermato, "alla luce delle risultanze istruttorie", che la ***** aveva rifiutato l'installazione della macchina e che i volantini e le insegne inviati alla acquirente erano stati da questa respinti, la corte di appello si è limitata a ritenere inadempiente la ***** per non aver "provveduto immediatamente al montaggio" della macchina al momento della consegna, omettendo di sottoporre a critica le argomentazioni poste a base della sentenza di primo grado e di esporre i motivi - sorretti da corretti e congrui argomenti - idonei a giustificare le conclusioni raggiunte diverse da quelle cui era pervenuto il tribunale.

Con il quarto motivo la ricorrente denuncia violazione dell'art. 1497 c.c., deducendo che la bolla di consegna della apparecchiatura alla ***** porta l'intestazione della "*****" per cui all'atto della ricezione dell'apparecchiatura la ***** era a conoscenza che il bene proveniva dalla *****: da ciò deriva che deve ritenersi strumentale l'affermazione della ***** di essere venuta a conoscenza solo il 22/2/1997 che l'apparecchiatura era stata usata dalla *****. La ***** quindi avrebbe dovuto denunziare l'asserita mancanza di qualità negli otto giorni dalla ricezione della apparecchiatura.

Il motivo è inammissibile posto che dalla lettura della sentenza impugnata non risulta (nè è stato dedotto in ricorso) che detta questione abbia formato oggetto del contraddittorio tra le parti nel giudizio di secondo grado: di questo aspetto, quindi, correttamente non si è occupata la corte di merito non rientrando tra le questioni dibattute dalle parti. In proposito è appena il caso di rilevare che, come più volte affermato da questa Corte, ove il ricorrente in sede di legittimità proponga una questione non trattata nella sentenza impugnata, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l'onere (nella specie non rispettato) non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare "ex actis" la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito.

In definitiva va dichiarato inammissibile i quarto motivo di ricorso vanno accolti nei sensi sopra precisati il 1^, il 2^, il 3^ e il 5^ motivo di ricorso con conseguente assorbimento del sesto motivo che riguarda il capo della sentenza impugnata relativo alla condanna della società ***** al risarcimento del danno derivante dall'asserito inadempimento di detta società. Di tale aspetto dovrà eventualmente occuparsi il giudice del rinvio ove ravvisi i presupposti per la pronuncia di risoluzione del contratto di compravendita in questione per inadempimento della società alienante.

La sentenza impugnata va quindi cassata e la causa rinviata alla corte di appello di Sassari che la riesaminerà uniformandosi ai principi di diritto sopra enunciati e tenendo conto dei rilievi sopra svolti. In particolare il giudice del rinvio dovrà provvedere a colmare le evidenziate carenze, lacune e incongruità di motivazione.

Al designato giudice del rinvio si rimette anche la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo, il secondo il terzo ed il quinto motivo di ricorso, dichiara inammissibile il quarto ed assorbito il sesto, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla corte di appello di Sassari.