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Danno da morte del minore: difficile, ma non impossibile, discostarsi dalle tabelle (Cassazione 12953/11)

Materia: Cassazione - Fonte: Cassazione - 30.06.2011
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Abstract: Sentenza con più spunti di interesse

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Per usare un termine caro ai penalisti, potrei parlare di "sentenza plurioffensiva", intendendo il termine nell'accezione di sentenza che va ad affermare più principi giuridici di interesse.


Vediamoli:


a) la perdita del congiunto costituisce un danno non patrimoniale, omnicomprensivo ed unitario, la cui liquidazione deve tenere conto di tutti gli aspetti evitando al contempo duplicazioni.

 

b) sussiste sempre la possibilità di discostarsi, per la quantificazione, dalle tabelle in uso nel singolo Foro, ma l'incremento dei valori massimi è si possibile ma solo ove vengano provate situazioni di fatto che si discostino in modo apprezzabile da quelle ordinarie;

 

c) per quanto concerne il danno patrimoniale futuro, in particolare se distante nel tempo, si dovrà ragionare in termini non di certezza (sarebbe impossibile) ma di ragionevole probabilità. Peraltro se è sempre possibile il ricorso alle presunzioni, non sarà sufficiente il richiamo alla regola dell'id quod plerumque accidit;

 

d) infine relativamente alle richieste risarcitorie formulate "iure successionis": se la formulazione delle conclusioni con la formula  “tutti i danni patiti e patiendi” protegge il richiedente per quel che concerne i danni (patrimoniali e non) richiesti iure proprio, e quindi relativi a posizioni giuridiche che fanno capo al singolo richiedente, lo stesso non può dirsi per quel che concerne le eventuali richieste di risarcimento del danno svolte iure successionis. In questo caso occorrerà una specifica domanda.

 

                                                                            Renato Savoia

 

* * *

 

 

Cass. civ. Sez. III, Sent., 14-06-2011, n. 12953

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto - Presidente

Dott. AMATUCCI Alfonso - Consigliere

Dott. AMENDOLA Adelaide - Consigliere

Dott. GIACALONE Giovanni - Consigliere

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 5274/2006 proposto da:

*****, *****, elettivamente domiciliati in ROMA, *****, presso lo studio dell'avvocato *****, rappresentati e difesi dall'avvocato ***** giusta delega a margine del ricorso; - ricorrenti -

contro

*****, elettivamente domiciliato in ROMA, *****, presso lo studio dell'avvocato *****, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato ***** giusta delega in calce al controricorso; - controricorrente -

e contro

***** S.P.A., ****, *****, *****, *****, *****; - intimati -

avverso la sentenza n. 1571/2004 della CORTE D'APPELLO di FIRENZE, Sezione Seconda Civile, emessa il 21/12/2004, depositata il 21/12/2004, R.G.N. 2596/A/2001+2597/A/2001;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 10/03/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito l'Avvocato *****;

udito l'Avvocato ***** per delega dell'Avvocato *****;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto.

Svolgimento del processo

1.- ***** e ***** convennero in giudizio ***** e la *****Assicurazioni S.p.A. per sentirli condannare, in solido, al risarcimento dei danni subiti a causa della morte del loro figlio *****, avvenuta, il ****, per un incidente stradale verificatosi il *****, deducendo che nel processo penale, oramai definito, era stata riconosciuta la responsabilità del ***** nella misura del 40%. Nel giudizio intervennero i fratelli della vittima e si costituirono i convenuti.

Il Tribunale di Prato accolse la domanda limitatamente al risarcimento dei danni morali, che riconobbe in favore sia degli attori che degli intervenuti e condannò i convenuti anche al pagamento delle spese di lite.

2.- Avverso la sentenza proposero appello sia i fratelli che i genitori della vittima, questi ultimi anche quali eredi di uno degli altri figli deceduto nelle more; propose appello incidentale la compagnia assicuratrice; resistette l'altro appellato.

Il Tribunale di Firenze ha accolto l'appello principale sia dei genitori che dei fratelli, riconoscendo loro, a titolo di risarcimento del danno morale, rispettivamente le somme di Euro 180.000,00 per ciascuno dei genitori, di Euro 70.000,00 per la sorella convivente e di Euro 50.000,00 per ciascuno degli altri fratelli, oltre rivalutazione ed interessi sulle somme devalutate fino al momento del fatto e poi rivalutate anno per anno fino al momento del pagamento; ha altresì riconosciuto il diritto, in favore dei genitori, al rimborso delle spese funerarie, nei limiti di quelle documentate ammontanti ad Euro 2.782,15, oltre accessori; ha rigettato ogni altra domanda degli appellanti principali. Quindi, ha accolto parzialmente l'appello incidentale, condannando la compagnia assicuratrice nei limiti del massimale, oltre rivalutazione ed interessi sul relativo importo. Ha condannato gli appellati principali, in solido, al rimborso dei due terzi delle spese del grado in favore degli appellanti principali, compensando tra le parti il terzo restante.

3.- Avverso la sentenza della Corte d'Appello propongono ricorso per cassazione ***** e *****, a mezzo di sette motivi, illustrati da memoria. Resiste con controricorso *****. Non si difendono la compagnia assicuratrice, nè gli altri intimati.

Motivi della decisione

1.- I primi due motivi di ricorso vanno esaminati congiuntamente, poichè pongono questioni connesse. Col primo motivo si denunciano vizio di motivazione e violazione di legge con riferimento alla statuizione con la quale la Corte d'Appello ha determinato il danno morale di ciascun genitore nell'importo di Euro 180.000,00; sostengono i ricorrenti che la somma sarebbe stata così determinata senza sufficiente motivazione e senza tenere conto di tutti gli elementi della fattispecie concreta idonei a rendere adeguato al caso concreto il risarcimento, effettuato tenendo conto delle tabelle in uso presso l'ufficio giudiziario.

Col secondo motivo si denunciano vizio di motivazione e violazione di legge per avere la Corte d'Appello ritenuto compresi nella suddetta liquidazione del danno morale anche il danno derivante dall'"ingiusto perturbamento delle relazioni familiari" e la "menomazione propria subita per la morte di un figlio".

1.1.- I motivi sono infondati.

Nel determinare la somma di cui sopra la Corte d'Appello ha tenuto conto espressamente dell'età della vittima e della convivenza con i genitori e con una sorella ed ha motivato in merito all'inadeguatezza della somma stabilita in primo grado. Ha quindi fatto riferimento ai criteri di liquidazione in uso presso la Corte d'Appello.

Ha altresì precisato - così motivando specificamente sul motivo d'appello con cui veniva proposta, rispetto alla sentenza di primo grado, la medesima censura di cui all'attuale secondo motivo di ricorso - che nel danno "morale", così come già determinato, si devono ritenere compresi anche gli "aspetti" ulteriori, indicati dagli appellanti, oggi ricorrenti.

1.2.- La liquidazione del danno derivante dalla perdita di un congiunto è stata regolata, dapprima, dalle sentenze di questa Corte nn. 8827 e 8828 del 2003, le quali hanno affermato che il soggetto che chiede iure proprio il risarcimento del danno subito in conseguenza della morte di un congiunto per la definitiva perdita del rapporto parentale lamenta l'incisione di un interesse giuridico diverso sia dal bene salute, sia dall'interesse all'integrità morale, e ciò in quanto l'interesse fatto valere è quello alla intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell'ambito della famiglia e alla inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell'ambito di quella peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia, la cui tutela è ricollegabile agli artt. 2, 29 e 30 Cost.. Trattasi di interesse protetto, di rilievo costituzionale, non avente natura economica, la cui lesione apre la via ad una riparazione ai sensi dell'art. 2059 cod. civ., senza il limite ivi previsto in correlazione all'art. 185 cod. pen., in ragione della natura del valore inciso, vertendosi in materia di danno che non si presta ad una valutazione monetaria di mercato.

Ha fatto seguito alle sentenze citate la fondamentale decisione a S.U. n. 26972 del 2008, che ha, tra l'altro, affermato che la perdita di una persona cara implica necessariamente una sofferenza morale, la quale non costituisce un danno autonomo, ma rappresenta un aspetto - del quale tenere conto, unitamente a tutte le altre conseguenze, nella liquidazione unitaria ed omnicomprensiva del danno non patrimoniale. Ne consegue che è inammissibile, costituendo una duplicazione risarcitoria, la congiunta attribuzione, al prossimo congiunto di persona deceduta in conseguenza di un fatto illecito costituente reato, del risarcimento a titolo di danno da perdita del rapporto parentale, del danno morale (inteso quale sofferenza soggettiva, ma che in realtà non costituisce che un aspetto del più generale danno non patrimoniale).

1.3.- In applicazione dei principi di cui sopra, va ribadito che la liquidazione del danno non patrimoniale sofferto per il decesso di un familiare causato del fatto illecito altrui (nella specie per sinistro stradale) sfugge necessariamente ad una previa valutazione analitica e resta affidata ad apprezzamenti discrezionali ed equitativi del giudice di merito, come tali non sindacabili in sede di legittimità, se congruamente motivati (cfr., tra le altre, Cass. 30 ottobre 2009, n. 23053; 21 gennaio 2011 n. 1410) e che è da ritenersi congrua la motivazione che, con prudente discrezionalità, contemperi i diversi elementi rilevanti nel caso concreto, anche mediante il riferimento alle tabelle di liquidazione dei danni alla persona in uso nel distretto di riferimento (cfr. Cass. 17 dicembre 2009 n. 26505).

Nè la c.d. personalizzazione del danno non patrimoniale può significare, come sembrano ritenere i ricorrenti, che ai valori riportati in dette tabelle debba essere sempre e necessariamente apportato un aumento (cfr. Cass. 28 novembre 2008, n. 28423); è pertanto congrua la motivazione che individui un valore compreso tra i minimi ed i massimi tabellari, avvalendosi degli elementi già considerati ai fini dell'elaborazione della tabella (quali età della vittima e dei danneggiati, stato di convivenza, presenza di altri familiari conviventi etc.), e riferendo gli stessi al caso concreto; laddove l'incremento dei valori massimi tabellari è giustificato soltanto in presenza di situazioni di fatto che si discostino in modo apprezzabile da quelle ordinarie (cfr. Cass. n. 28423/08 cit.), sia per elementi non considerati ai fini dell'elaborazione tabellare sia per il peculiare atteggiarsi nel caso concreto degli elementi invece considerati; ciò, che non risulta essere nel caso di specie.

1.4.- Traendo le ulteriori debite conseguenze dai principi richiamati al precedente punto 1.2., va precisato che la liquidazione del danno non patrimoniale da perdita di congiunto va effettuata mediante la determinazione di un importo omnicomprensivo (cfr., di recente, Cass. ord. 17 settembre 2010, n. 19816; Cass. 3 febbraio 2011, n. 2557), includendovi sia la sofferenza interiore e lo stato di prostrazione derivanti dall'avvenimento luttuoso (compresi quello che i ricorrenti qualificano in termini di "turbamento d'animo" e quella che viene definita "la menomazione propria subita per la morte di un figlio") sia le conseguenze nell'ambito delle relazioni parentali e familiari (che i ricorrenti qualificano in termini di "danno da ingiusto perturbamento delle relazioni familiari", ovvero il danno c.d. da perdita del rapporto parentale), senza che siano ammissibili duplicazioni (cfr., dopo S.U. n. 26972/2008 cit., tra le altre Cass. 18 gennaio 2011, n. 1072). Ovviamente, semprechè la somma complessivamente determinata - a prescindere dal nomen iuris riferito dal giudicante alla voce o alle voci di danno che con essa ha inteso liquidare-risponda ai criteri di equità che ne debbono conformare la liquidazione, secondo quanto detto sopra.

1.5.- Pertanto, è infondato il primo motivo, dal momento che il giudice di merito ha fornito, riguardo alla liquidazione del danno non patrimoniale in capo ai genitori della giovane vittima, una motivazione congrua, logica e contenente considerazioni concernenti il caso concreto, anche mediante il richiamo implicito delle tabelle in uso presso la Corte d'Appello di Firenze.

Quanto a queste ultime, è bene precisare che la parte ricorrente che assume che le stesse non sarebbero state applicate correttamente, per rendere ammissibile la relativa censura, non si può limitare - come ha fatto - ad indicare l'importo massimo tabellare alla data di deposito della memoria ex art. 378 cod. proc. civ. (per sostenere che quanto liquidato è ingiustificatamente e di molto inferiore a tale importo), essendo invece rilevanti gli importi indicati nella tabella della quale si è avvalso il giudice d'appello, semprechè contenente valori stimati alla data della decisione; così come, al fine di sostenere 1'insufficienza della somma liquidata secondo tali ultimi valori, non si può limitare a dedurre - come ha fatto-parametri di riferimento assolutamente nella norma (quali quelli della convivenza con i genitori e la sorella di un ragazzo di diciassette anni, regolarmente inserito nel contesto familiare), essendo come detto rilevanti, ai fini del superamento dei massimi tabellari, elementi, fatti o circostanze che connotino il caso concreto di apprezzabile peculiarità. 1.6.- Parimenti, è infondato il secondo motivo. E' vero che il giudice del merito ha qualificato il danno, di cui ha complessivamente liquidato il risarcimento, come danno "morale" piuttosto che come danno "non patrimoniale"; tuttavia, ha espressamente motivato sul punto della considerazione, in tale danno, di tutti gli aspetti che, di norma, connotano il danno non patrimoniale da perdita di prossimo congiunto (compresi quelli specificamente indicati dagli appellanti, oggi ricorrenti).

Come già detto, il danno non patrimoniale derivante dalla perdita del prossimo congiunto non consiste soltanto nella sofferenza inferiore, ma comprende tutti pregiudizi non patrimoniali connessi a detta perdita (cfr., dopo S.U. n. 26972 del 2008 cit., Cass. 19 febbraio 2009, n. 4053; 22 giugno 2009, n. 14451). Pertanto, la circostanza che il giudice di merito abbia liquidato agli aventi diritto una somma unitaria definita "danno morale" non può far ritenere la decisione di per sè erronea (e tale, in particolare, per non avere liquidato il danno c.d. da perdita del rapporto parentale: cfr. Cass. 28 novembre 2008, n. 28423), in tutti i casi in cui risulti dalla motivazione del provvedimento che il giudicante, nella stima del danno, abbia tenuto conto non solo della sofferenza interiore, ma di tutte le conseguenze derivate dal fatto illecito (cfr. Cass. 30 settembre 2009, n. 20949); ciò, che appunto è accaduto nel caso di specie.

2.- Col terzo motivo di ricorso, si denunciano vizio di motivazione e violazione di legge, con riguardo alla statuizione di rigetto del risarcimento del danno patrimoniale.

Assumono i ricorrenti che la motivazione, secondo cui non sarebbe stata fornita la prova di un apporto economico del figlio ai genitori, non sarebbe sufficiente, in quanto la Corte di merito si sarebbe dovuta avvalere della presunzione per la quale il figlio, immaturamente deceduto, avrebbe invece apportato in famiglia il proprio contributo patrimoniale quanto meno fino al raggiungimento dell'età di venticinque anni. Aggiungono che, anche se tale apporto non fosse stato riscontrato fino al momento del decesso, sarebbe potuto intervenire successivamente.

2.1.- Il motivo non è meritevole di accoglimento. La Corte d'Appello ha motivato in punto di danno patrimoniale futuro, ritenendo provato che il defunto fosse collaboratore dell'impresa artigiana del padre ma che non vi fosse la prova che i genitori traessero da tale collaborazione un qualche vantaggio economico per la cui perdita debbano essere risarciti.

La motivazione è congrua e logica, quindi incensurabile in cassazione, non essendo consentito a questa Corte valutare le emergenze probatorie invocate dai ricorrenti al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento di fatto, che è riservato al giudice del merito.

Inoltre, è infondato il motivo per la parte in cui censura la sentenza impugnata relativamente al mancato ricorso alle presunzioni, assumendone il contrasto con la giurisprudenza di questa Corte in tema di danno patrimoniale futuro in capo ai superstiti.

Il principio ripetutamente espresso in argomento è che i congiunti che richiedano il risarcimento del danno patrimoniale futuro per la perdita del contributo economico che la vittima avrebbe loro apportato hanno l'onere di allegare e provare che tale contributo sarebbe stato se non certo, anche soltanto altamente probabile, secondo ragionevoli criteri rapportati al caso concreto (cfr. Cass. 1 marzo 2007, n. 4791; 3 aprile 2008, n. 8546); e ciò possono fare anche avvalendosi di presunzioni, senza però che, allo scopo, possa ritenersi sufficiente il mero richiamo dell'id quod plerumque accidit (cfr. Cass. 7 novembre 2002, n. 15641).

I medesimi principi valgono anche per l'ulteriore danno patrimoniale, invocato dai ricorrenti, consistente nell'asserita futura perdita degli alimenti da parte dei genitori, rispetto ai quali il figlio sarebbe stato gravato dell'obbligo alimentare: anche in tal caso è necessaria l'allegazione e la prova di circostanze attuali che, valutate nel loro insieme, rendano ragionevole la previsione che in futuro i genitori si potrebbero trovare in uno stato di indigenza tale da aver bisogno della corresponsione di alimenti senza che nessun altro possa prestarli (cfr. Cass. 3 maggio 2004, n. 8333).

Ai fini di cui sopra la previsione va operata sulla base di criteri ragionevolmente probabilistici, non già in via astrattamente ipotetica, ma alla luce delle circostanze del caso concreto. Non risulta dal ricorso che tali circostanze siano state addotte nel caso di specie e che di esse il giudice del merito non abbia tenuto conto.

Pertanto, già per le ragioni di cui sopra appare infondato il motivo sotto entrambi i profili, di violazione di legge e di vizio di motivazione.

2.2.- Il motivo si appalesa a maggior ragione infondato ove si consideri che, nel caso di specie, la Corte d'Appello ha tenuto conto del fatto che la vittima percepisse un reddito già al momento del sinistro: orbene, in presenza di un dato di fatto di tale portata, ed in mancanza della prova - mancanza, ritenuta dal giudice del merito con accertamento insindacabile in questa sede - che i genitori fossero stati privati di un qualche vantaggio economico di cui beneficiassero, non si può presumere che tali utilità avrebbero conseguito in futuro (cfr. Cass. 8 marzo 2006, n. 4980). In un'ipotesi siffatta l'onere di allegazione e di prova di cui sopra si aggrava: infatti, occorre dedurre e dimostrare, sia pure presuntivamente, che le condizioni economiche della famiglia, e dei genitori in particolare, si sarebbero venute a modificare in futuro, si da rendere altamente probabile che quel contributo economico non richiesto al figlio fino ad allora, sarebbe invece stato prestato in ragione di tali mutate condizioni familiari.

Essendo mancate tali allegazioni e dimostrazioni, non può che confermarsi la valutazione di infondatezza del motivo.

3.- Col quarto motivo i ricorrenti denunciano vizio di motivazione e violazione di legge in merito al mancato riconoscimento del diritto dei genitori al risarcimento iure hereditario del danno biologico sofferto dal figlio a causa del sinistro de quo, essendo la vittima sopravvissuta per un apprezzabile lasso di tempo.

3.1.- Il motivo è inammissibile.

Proprio in ragione del fatto, dedotto dai ricorrenti, che la sentenza impugnata non prende affatto in considerazione tale voce di danno, era onere dei ricorrenti medesimi, non solo allegare di avere avanzato la relativa domanda risarcitoria in primo grado e di averla riproposta in grado d'appello, ma anche riportare in ricorso i motivi dell'appello, al fine di consentire a questa Corte di controllare la veridicità dell'assunto, prima di esaminare nel merito la domanda (cfr. Cass. 22 luglio 2005 n. 15422; 30 novembre 2006, n. 25546); in mancanza, la domanda in parola è da reputarsi mai proposta nei gradi di merito e quindi inammissibile dinanzi a questa Corte.

3.2.- Sostengono i ricorrenti che la domanda sarebbe stata formulata già in primo grado di giudizio e riproposta in appello perchè in entrambi i rispettivi atti introduttivo sarebbe stato richiesto il risarcimento "per tutti i danni patiti e patiendi dagli stessi".

L'assunto è errato.

E' vero che questa Corte ha ripetutamente affermato il principio, che qui va ribadito per il quale la domanda di risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, proposta dal danneggiato nei confronti del soggetto responsabile, per la sua onnicomprensivita esprime la volontà di riferirsi ad ogni possibile voce di danno, con la conseguenza che solo nel caso in cui nell'atto di citazione siano indicate specifiche voci di danno, l'eventuale domanda proposta in appello per una voce non già indicata in primo grado, costituisce domanda nuova, come tale inammissibile (cfr. Cass. 19 maggio 2006, n. 11761; 20 febbraio 2007, n. 3936; 30 ottobre 2007, n. 22884; 17 dicembre 2009, n. 26505).

Tuttavia occorre tenere adeguatamente distinti i danni dei quali è preteso il risarcimento iure proprio e quelli dei quali è preteso il risarcimento iure successionis. Questi ultimi presuppongono che il diritto al relativo risarcimento sia già entrato a far parte del patrimonio della vittima dell'illecito al momento della sua morte, vale a dire che il diritto della cui lesione si tratta facesse capo alla c.d. vittima primaria del fatto illecito: è questo, tra gli altri, il diritto al risarcimento del danno alla salute sofferto da colui che, essendo sopravvissuto al fatto per un apprezzabile lasso di tempo, abbia in tale periodo visto gravemente compromessa la propria integrità psico-fisica (cfr., tra le tante, Cass. 17 gennaio 2008, n. 870; 30 ottobre 2009, n. 23053; 8 gennaio 2010, n. 79).

Nel momento in cui detto risarcimento venga rivendicato non dal soggetto leso ma dai suoi eredi, la causa petendi ed il petitum non possono certo identificarsi con quelli inerenti il risarcimento dei danni sofferti dagli eredi, in proprio, pur se conseguenti al medesimo fatto illecito: differenti sono i danneggiati e le posizioni giuridiche soggettive della cui lesione si tratta.

Pertanto, è da escludere che nella domanda di risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, proposta da un determinato soggetto, che si qualifica come danneggiato, nei confronti del soggetto responsabile, possano essere compresi indifferentemente i danni sofferti iure proprio e quelli il cui risarcimento è richiesto iure successionis; in mancanza di ulteriori specificazioni, la domanda, pur se omnicomprensiva, è da intendersi come espressione della volontà di riferirsi ad ogni possibile voce di danno causato dalla lesione di posizioni giuridiche soggettive facenti capo al soggetto richiedente. In quest'ultima ipotesi, la domanda avanzata per la prima volta in cassazione per una voce di danno rivendicata iure successionis, ove non richiesta a tale titolo nei gradi di merito, costituisce domanda nuova, come tale inammissibile.

4.- Col quinto motivo di ricorso si denunciano vizio di motivazione e violazione di legge, con riguardo alla statuizione con cui la Corte d'Appello ha calcolato gli interessi legali sulle somme liquidate ai valori monetar attuali previa devalutazione all'epoca del fatto e poi rivalutazione - sulla base degli indici ISTAT - anno per anno, fino al momento del pagamento.

4.1.- Il motivo è infondato.

La motivazione è completa, avendo dato atto la Corte del procedimento seguito al fine di determinare il danno da ritardato pagamento della somma costituente equivalente pecuniario, ed essa è altresì congrua, dal momento che il criterio di calcolo è conforme alla giurisprudenza di questa Corte (come formatasi a far data dalla sentenza a Sezioni Unite 17 febbraio 1995, n. 1712). Non è invece conforme a tale giurisprudenza il criterio invocato dalle parti ricorrenti, per il quale gli interessi c.d. compensativi dovrebbero essere calcolati a far data dall'evento dannoso ma sulle somme già rivalutate: infatti, in tal modo non si avrebbe soltanto il risarcimento della perdita di utilità che il godimento tempestivo della somma di denaro avrebbe consentito al danneggiato, che è il danno convenzionalmente liquidato applicando il parametro di riferimento degli interessi legali a titolo c.d. compensativo (cfr., tra le altre, Cass. 3 dicembre 1999, n. 13470; 30 agosto 2004, n. 17369; 17 settembre 2005, n. 18445), ma un indebito arricchimento dei danneggiati.

5.- Col sesto motivo, i ricorrenti denunciano vizio di motivazione con riferimento alla statuizione della sentenza relativa alla liquidazione delle spese del giudizio di primo grado. La censura mossa dai ricorrenti riguarda i diritti e gli onorari, che si assumono essere inferiori al minimo, tenuto conto della durata del processo e dell'attività espletata.

5.1.- Questa Corte ha ripetutamente affermato che "la parte che intende impugnare per cassazione la sentenza di merito nella parte relativa alla liquidazione dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato ha l'onere dell'analitica specificazione delle voci della tariffa professionale che si assumono violate e degli importi considerati, al fine di consentirne il controllo in sede di legittimità, senza bisogno di svolgere ulteriori indagini in fatto e di procedere alla diretta consultazione degli atti, giacchè l'eventuale violazione della suddetta tariffa integra un'ipotesi di error in iudicando e non in procedendo" (così Cass. n. 3651/07); è quindi inammissibile il ricorso per cassazione che si limiti alla generica denuncia dell'avvenuta violazione del principio di inderogabilità della tariffa professionale, senza precisare le voci di tabella degli onorari e dei diritti di procuratore che si intendono violate (cfr. Cass. n. 14744/07, n. 14455/09, n. 16149/09, n. 22287/09, tra le tante).

5.2.- Col motivo in esame si denuncia la violazione dei minimi tariffari, senza che i ricorrenti abbiano specificato quali importi di ciascuna delle voci per diritti e/o per onorari liquidati nella sentenza impugnata siano da considerare errati e quali invece avrebbero dovuto essere per ciascuna di dette voci. Vi è in ricorso soltanto l'indicazione del totale richiesto in più (Euro 10.000,00) rispetto a quanto liquidato dal primo giudice, senza alcun altra precisazione: ciò, che, per i principi sopra richiamati, impedisce l'autosufficienza del ricorso; infatti, l'errore denunciato dai ricorrenti non è desumibile dal tenore di questo, ma richiederebbe la consultazione di atti, nemmeno indicati.

6.- Col settimo motivo del ricorso, si denuncia vizio di motivazione in merito alla compensazione di un terzo delle spese del grado di appello.

6.1.- Il motivo è infondato.

La sentenza impugnata motiva in punto di compensazione parziale delle spese, considerando l'esito del giudizio ed in particolare considerando "che i maggiori importi riconosciuti agli appellanti sono sostanzialmente inferiori a quelli da loro richiesti".

Per concludere nel senso della congruità di tale motivazione (relativa a processo introdotto con citazione del 2 febbraio 1990, cui quindi risulta applicabile la norma dell'art. 92 c.p.c., nel testo vigente prima della modifica apportata con la L. n. 263 del 2005, art. 2, comma 1, lett. a), applicabile ai giudizi introdotti dopo il 1 marzo 2006, e successivamente sostituita con la L. n. 69 del 2009), è sufficiente richiamare il precedente, conforme alla giurisprudenza prevalente di questa Corte, di cui alla sentenza n 7523/09, per la quale: "in tema di regolamento delle spese processuali, nel regime anteriore alla novella dell'art. 92 cod. proc. civ., recata dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito disporne la compensazione, in tutto o in parte, anche nel caso di soccombenza di una parte. Tale statuizione, ove il giudicante abbia fatto esplicito riferimento all'esistenza di giusti motivi, non necessita di alcuna esplicita motivazione e non è censurabile in cassazione, salvo che lo stesso giudice abbia specificamente indicato le ragioni della sua pronuncia, dovendosi, in tal caso, il sindacato di legittimità estendere alla verifica dell'idoneità in astratto dei motivi posti a giustificazione della pronuncia e dell'adeguatezza della relativa motivazione".

6.2.- Non vi è dubbio che i criteri indicati dalla Corte d'Appello per compensare parzialmente le spese, come sopra richiamati, siano idonei a giustificare la compensazione delle spese processuali e che la relativa motivazione sia immune dal vizio denunciato dai ricorrenti.

7.- Sussistono giusti motivi per compensare per intero le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.