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Io, la manovra e la riforma delle professioni

Materia: Attualità - Fonte: generazionepropro.corriere.it - 24.08.2011
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Abstract: Lettera pubblicata sul blog del Corriere Generazione Pro Pro



Dopo aver letto un articolo di Gian Paolo Prandstraller dal titolo: "La manovra? Non distrugge le professioni" mi sono venute spontanee alcune riflessioni, che sono state pubblicate sul medesimo blog all'interno del sito del Corriere della Sera.

 

La riporto anche qui, come stimolo per una riflessione, sia per i Colleghi che per chiunque passi di qui.

 

* * *

 

Ho letto con attenzione l’articolo relativo alla cd. “liberalizzazione” delle professioni e mi sono sopravvenute alcune considerazioni. Chi sono? Sono l’avvocato medio, quello di frontiera (o di trincea, se preferisce), quello che non sa se l’anno prossimo ci sarà ancora, quello che per andare in vacanza chiede il permesso al suo commercialista, quello che pur essendo anche un datore di lavoro (personale di segreteria…) non è mai stato aiutato né dalla fiscalità (sono una vacca da mungere, e notoriamente un evasore).

Nè dal sistema bancario (se ho bisogno di prestiti le mie competenze non servono alle banche per concedermi nulla, e il mio studio è in affitto), quello non tutelato dai sindacati, dalle associazioni di categoria e molto spesso nemmeno dai miei rappresentanti (CNF, OUA), ancorati a una visione del mondo ottocentesca e semmai interessati a tutelare studi di grandi dimensioni.

Mi pongo un problema, soprattutto di metodo: per quale ragione, in una manovra-bis di un torrido agosto, manovra volta, come noto, a reperire risorse a stretto giro, si interviene sulle professioni?

Ha senso legiferare in fretta e furia su settori regolamentati da normative magari ancora risalenti all’epoca fascista (la legge professionale per quel che riguarda gli avvocati è del 1933) e che certamente necessitano di una revisione anche profonda, su cui peraltro da tempo si discute, in una manovra e soprattutto in questa manovra?

Sinceramente, c’è davvero qualcuno che pensa che tali modifiche (su molte delle quali, premetto sin d’ora di essere peraltro d’accordo, a conferma che il problema è soprattutto il metodo) possano servire a un incremento delle entrate, per essere chiari, o comunque avere un qualche impatto diretto?

Ecco, io credo che nessuno possa affermarlo. E allora intervenire così,  a spizzichi e bocconi, rischia solo di scontentare tutti, dai professionisti ai clienti. Certo, sono consapevole che “il legislatore, signori, non è un anziano saggio che nel chiuso della biblioteca e sfogliando poderosi volumi impolverati verga sulla pergamena le migliori leggi per  il Paese, ma è quella masnada di parlamentari urlanti che vedete in televisione” (come diceva un professore nei miei anni di Università).

Ma da qui, a infilare di sbieco qualche norma pensata male e scritta peggio (al di là delle intenzioni) in una manovra-bis, credo che ce ne corra e che i professionisti di questo Paese, già troppo bistrattati tra un sistema fiscale che li vede come pecore da tosare, una burocrazia sempre più invadente, un sistema bancario che non è mai stato disposto al minimo aiuto, non se lo meritino.

Sia chiaro che non mi arrogo alcuna pretesa di parlare a nome della categoria ma parlo per me, “giovane” avvocato trentaseienne, da dodici libero professionista. Sarebbe troppo aspettarsi una qualche misura a favore dei professionisti: non ci sono state in tempi di vacche grasse, figuriamoci ora.

Ricordarsi invece che, accanto alle piccole e medie aziende e ai commercianti, esistiamo anche noi che nel nostro piccolo siamo anche datori di lavoro (se dovessi licenziare la mia segretaria chi l’assume, la pubblica amministrazione? La Fiat? L’Alitalia? Moltiplichi ora uno per qualche centinaia di migliaia, il problema a quel punto non sarà più la mia segretaria, sarà un aumento della disoccupazione…).

Molti di noi sono i primi a volere una legge di riforma, moderna, competitiva. E magari anche un qualche segno di riconoscimento, a noi che non scioperiamo mai, non scendiamo in piazza, non urliamo, se non al telefono con qualche cliente un po’ duro d’orecchi.

 

                                               Renato Savoia